La Parola del Papa
Papa Francesco nella messa della notte di Natale: “Stasera il nostro cuore è a Betlemme. No ala logica della guerra”
Papa Francesco ha cominciato l'omelia della Messa nella notte di Natale con un pensiero alla tragica attualità della guerra. Dio "non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del 'tutto e subito'". "Riscopriamo il senso dell'adorazione" (foto Vatican Media Sir)
Il nostro cuore stasera è a Betlemme, dove ancora il Principe della pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra, con il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo”. Il primo pensiero di Papa Francesco, nell’omelia della Messa della notte di Natale presieduta nella basilica di San Pietro, è per la tragica attualità. Citando il censimento ai tempi di Gesù, Francesco ha fatto notare che “manifesta da una parte la trama troppo umana che attraversa la storia: quella di un mondo che cerca il potere e la potenza, la fama e la gloria, dove tutto si misura coi successi e i risultati, con le cifre e con i numeri. È l’ossessione della prestazione”. Ma nello stesso tempo, “nel censimento risalta la via di Gesù, che viene a cercarci attraverso l’incarnazione”: “Non è il dio della prestazione, ma il Dio dell’incarnazione. Non sovverte le ingiustizie dall’alto con forza, ma dal basso con amore; non irrompe con un potere senza limiti, ma si cala nei nostri limiti; non evita le nostre fragilità, ma le assume”.
“Stanotte possiamo chiederci: noi in che Dio crediamo? Nel Dio dell’incarnazione o in quello della prestazione?”,
si è chiesto il Papa, mettendo in guardia dal “rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio, come se fosse un padrone potente che sta in cielo; un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo”. “Sempre torna l’immagine falsa di un dio distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi; di un dio fatto a nostra immagine, utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali”, il monito di Francesco:
“Lui, invece, non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del ‘tutto e subito’;
non ci salva premendo un bottone, ma si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro. Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro altri! Ma non è così: lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra”. “Guardiamo dunque al Dio vivo e vero”, l’invito per Natale: “a lui, che sta al di là di ogni calcolo umano eppure si lascia censire dai nostri conteggi; a lui, che rivoluziona la storia abitandola; a lui, che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo; a lui, che cancella il peccato facendosene carico, che non toglie il dolore ma lo trasforma, che non ci leva i problemi dalla vita, ma dà alle nostre vite una speranza più grande dei problemi. Desidera così tanto abbracciare le nostre esistenze che, infinito, per noi si fa finito; grande, si fa piccolo; giusto, abita le nostre ingiustizie.
Ecco lo stupore del Natale: non un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani, ma l’inaudita tenerezza di Dio che salva il mondo incarnandosi.
Dio si è fatto carne, “è entrato fino in fondo nella nostra condizione umana perché gli interessa tutto di noi, perché ci ama al punto da ritenerci più preziosi di ogni altra cosa”, la sintesi del mistero dell’incarnazione. “Fratello, sorella, per Dio che ha cambiato la storia durante il censimento
tu non sei un numero, ma un volto; il tuo nome è scritto nel suo cuore”,
l’appello rivolto a ciascuno di noi: “Ma tu, guardando al tuo cuore, alle tue prestazioni non all’altezza, al mondo che giudica e non perdona, forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi. Ma oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù, che ti dice: ‘Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te’. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze? Come i pastori, che hanno lasciato le loro greggi, lascia il recinto delle tue malinconie e abbraccia la tenerezza di Dio bambino. Senza maschere e senza corazze getta in lui i tuoi affanni ed egli si prenderà cura di te: lui, che si è fatto carne, non attende le tue prestazioni di successo, ma il tuo cuore aperto e confidente. E tu in lui riscoprirai chi sei: un figlio amato di Dio, una figlia amata da Dio. Ora puoi crederlo, perché stanotte il Signore è venuto alla luce per illuminare la tua vita e i suoi occhi brillano d’amore per te”.
“Cristo non guarda ai numeri, ma ai volti. Chi, però, guarda a Lui, tra le tante cose e le folli corse di un mondo sempre indaffarato e indifferente?”, la domanda esigente del Papa. “A Betlemme, mentre molta gente, presa dall’ebbrezza del censimento, andava e veniva, riempiva gli alloggi e le locande parlando del più e del meno, alcuni sono stati vicini a Gesù: sono Maria e Giuseppe, i pastori, poi i magi”, ha ricordato Francesco: “Impariamo da loro. Stanno con lo sguardo fisso su Gesù, con il cuore rivolto a lui. Non parlano, ma adorano. L’adorazione è la via per accogliere l’incarnazione. Perché è nel silenzio che Gesù, Parola del Padre, si fa carne nelle nostre vite”. “Facciamo anche noi come a Betlemme, che significa ‘casa del pane’”, l’esortazione del Papa: “stiamo davanti a lui, Pane di vita.
Riscopriamo l’adorazione, perché adorare non è perdere tempo,
ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo. È far fiorire in noi il seme dell’incarnazione, è collaborare all’opera del Signore, che come lievito cambia il mondo. È intercedere, riparare, consentire a Dio di raddrizzare la storia”. Poi la citazione di Tolkien, “un grande narratore di imprese epiche”, che scrisse a suo figlio: “Ti offro l’unica cosa grande da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. Lì troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra”. “Stanotte l’amore cambia la storia. Fa’ che crediamo, o Signore, nel potere del tuo amore, così diverso dal potere del mondo”, la preghiera finale.