Conto alla rovescia per il ritorno di Trump alla Presidenza degli Usa

Official portrait of President Donald J. Trump, Friday, October 6, 2017. (Official White House photo by Shealah Craighead)

Donald Trump torna alla Casa Bianca il 20 gennaio dopo i quattro anni dell’“era Biden”. La prima esperienza da presidente non fu giudicata esaltante. Nel frattempo Trump ha avuto anche alcuni “guai” politici e giudiziari. Facciamo il punto con Piero Graglia, professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali e presidente del Corso di laurea in Scienze internazionali e istituzioni europee dell’Università degli Studi di Milano.

Professore, come arriva Trump a questo nuovo mandato, peraltro conquistato con un ampio sostegno elettorale?
I sistemi democratici che garantiscono la scelta dei governanti, pur con tutti i loro difetti sono i sistemi più “sinceri” che esistano. Nel bene e nel male. Nel senso che un processo democratico può anche portare al potere personaggi che hanno usato in maniera disinvolta potere economico e denaro per orientare il consenso nella loro direzione. È sempre successo e sempre succederà. Ciò che però sorprende nel caso di Trump è da un lato l’estrema disinvoltura, ai limiti dell’indifferenza, nei confronti di ogni sistema di controllo del processo democratico, quelli che gli anglosassoni chiamano il sistema dei “checks and balances”. Dall’altro l’arroganza che il neo presidente ha sempre sfoggiato, in pubblico e in privato. Trump non vuole essere occasionalmente presidente, per il periodo stabilito dalle regole, lui si vede di fatto come inamovibile, predestinato, l’uomo che gli Stati Uniti vogliono e del quale hanno bisogno. Una convinzione che può diventare un pericolo eversivo, come in effetti i fatti del gennaio 2021 (assalto a Capitoli Hill – ndr) hanno dimostrato. Se usi espressioni incendiarie, se giochi con lo scontento e con la voglia di autoritarismo, poi trovi sempre gruppi di persone, manovali della rivolta occasionale, che interpretano le tue parole e passano all’azione, a volte anche in maniera distruttiva.Al fondo di tutto c’è il problema del populismo e della profonda ignoranza che nei tempi dei social è diventata rivendicazione politica di genuinità popolare.Un ricco magnate con uno stile di vita da satrapo che si propone come modello per la gente comune, paladino contro il “sistema”, vendicatore degli oppressi. Non è paradossale?

In vista di un’elezione si fanno molte promesse. Quali – a suo avviso – quelle che Trump potrà esaudire in politica interna e quali ci si può immaginare rimarranno lettera morta?
Vedremo quante delle promesse fatte da Trump troveranno compimento, a mio avviso sembra che a lui interessi soprattutto il ritorno immediato piuttosto che fare affermazioni e promesse con ciò che tutto ciò implica di per se. È la politica degli annunci che vale per tutti, Italia compresa e come tutti anche Trump promette per soddisfare l’interesse passeggero degli osservatori e degli utenti dei social per poi essere pronto a modificare non solo le affermazioni fatte, ma anche le premesse dalle quali partiva per promettere qualcosa. Prendiamo il problema dell’emigrazione: Trump ha garantito che il “muro” sarebbe stato pagato dal Messico e costruito in breve tempo; il Messico non ha pagato nulla – anzi, ha protestato per l’aggressività verbale di Trump – e il muro non è mai stato completato, per il semplice motivo che completare tale opera immane (partita in verità nel lontano 1978, ben prima di Trump) richiede risorse e tempo e non solo qualche annuncio polemico. La dinamica esercitata è quella della soddisfazione del momento: ti convinco che le cose andranno come dico io per poi rivelarsi tutt’altro come decisore politico: tutto ciò risulta quindi inaffidabile, doppio, ambiguo.

Politica estera: tema delicatissimo, con una serie di conflitti in corso e le incognite – geopolitiche ed economiche – di Mosca e Pechino. Donald Trump sarà un uomo di pace?
A mio avviso Trump non è un uomo di pace. Non ha alcuna considerazione per i forum internazionali (Nazioni Unite in primis) e anche durante il suo primo mandato non ha certo diminuito la tensione internazionale, peraltro facendo alcuni interventi armati che hanno alzato la temperatura complessiva. Forse, pensa di trattare la politica estera come se fosse una transazione commerciale, da vincere con il denaro e con la sua abilità di affarista. Mi sembra un personaggio “unfit” e quindi, ritengo, inadatto a governare un grande Paese democratico.Pensare che con lui la politica estera statunitense diventerà più pacifica è un mito tranquillizzante, ma non ha alcun fondamento sulla base dell’esperienza del suo primo mandato.Se vogliamo una pace senza principi, intesa come accettazione del ricorso alla prepotenza, lui magari la favorirà; ma è questa la pace che vogliamo?

Quali possibili scenari di aprono con l’Europa dei 27?
L’Unione europea si deve svegliare con decisione. Non c’è più nessun margine per sperare in un protagonismo europeo. Il processo di integrazione europea si è sviluppato in una sorta di incubatrice protettiva, che era la “guerra fredda”. La sua difesa – questa era la posizione degli Stati Uniti – doveva essere garantita a tutti i costi in quel contesto, anche a fronte della evidente riottosità europea a privilegiare l’integrazione e il rafforzamento dei suoi sistemi di difesa e la concertazione della politica estera. La fine della guerra fredda ha poi aperto scenari nuovi nei quali l’Unione ha sempre mantenuto lo storico atteggiamento indifferente rispetto alla sua importanza come attore economico e commerciale. Se non rispondiamo alla richiesta di responsabilità internazionale che pure molti attori nel Terzo mondo si aspettano – e sperano – restiamo irrilevanti e, in prospettiva, “colonizzabili”: militarmente, politicamente e, forse, anche socialmente.Il nostro modello di società non può sopravvivere in scenari di paura, instabilità, precarietà. E le singole comunità nazionali europee da sole non vanno da nessuna parte.Poi c’è la sfida della competitività tecnologica, che si accoppia al problema della transizione energetica. Insomma, c’è molto da fare e nessuno si può cullare sulle certezze del presente, per il semplice motivo che non ci sono, sono solo apparenza.

Una parola su Elon Musk. Quale influenza potrebbe avere sul quadriennio trumpiano?
Musk è un fenomeno preoccupante. Non siamo di fronte al solito riccastro che vuole avere influenza politica; Musk è molto simile a Trump, gli danno fastidio le regole, i vincoli, le obbligazioni. La sua visione è peraltro quella della costruzione di una società guidata dalla cibernetica, dalla robotica, e da poche menti illuminate.Musk è riuscito a ritagliarsi una diretta influenza sul governo della nazione più potente del mondo,anche se in declino evidente, manifestando la voglia di dire la sua su comportamenti e decisioni prese da governi sparsi per il mondo o criticando istituzioni indipendenti degli stessi Paesi (come fece nel caso della magistratura italiana sulla questione dei centri di detenzione in Albania). Questo apre uno scenario inedito: nell’era dei social un personaggio con le idee di Musk non esercita soltanto quella influenza politica che sempre le persone con molto potere economico hanno cercato di esercitare sul potere politico – spesso riuscendoci – lui va oltre: rende manifesta la sua azione creando inevitabilmente consensi e, per fortuna, alimentando anche voci contrarie. La sua influenza è destinata a crescere, sia come consigliere di Donald Trump sia come “suggeritore” e sostenitore di governi di altri Paesi, tra i quali spicca il nostro.