Cyber attacchi: la guerra ibrida

Mentre il mondo era teso a seguire le vicende di Gaza e Israele, la Russia andava forzando la mano con l’Ucraina e non solo, violando ripetutamente gli altrui confini via cielo, tramite droni e aerei. Ci sono i sorvoli massicci che da tre anni e otto mesi si verificano a danno dei civili ucraini, da ultimo martellati da tempeste di droni pure in pieno giorno e nelle aree popolate di persone come i mercati. E ci sono stati crescenti azioni di disturbo contro stati come la Polonia (19 violazioni a cui l’Alleanza atlantica ha risposto costituendo le “Sentinelle dell’Est”), ma anche Romania, Moldavia, Estonia. Di quest’ultima, il 19 settembre, due aerei russi hanno sorvolato i cieli per dodici minuti, provocando l’intervento di due F-35 italiani appartenenti alle Sentinelle. E ancora, il 24 settembre, un aereo russo ha sorvolato una fregata tedesca in esercitazione sul Mar Baltico; due caccia ungheresi hanno poi intercettato cinque jet russi – tra cui i Mig 31 – in volo vicino allo spazio aereo lettone, senza autorizzazione né piano di volo dichiarato; un altro caso è stato segnalato in Alaska (spazio aereo Usa). I cieli di Norvegia e Danimarca hanno subito attacchi di droni che hanno costretto alla chiusura degli aeroporti. Tranne che per la Danimarca, in fase di verifica, tutti gli episodi hanno matrice certa: si tratta di azioni che partono dalla Russia, indirizzate contro paesi con i quali non c’è una guerra dichiarata, eppure ugualmente presi di mira e volutamente messi sotto pressione. Il risultato è che tutti vengono costretti a decidere se ignorare o reagire all’accaduto.

Non sono solo sfide a livello militare ma atti che possono incidere nella vita di ogni giorno dei civili: si ricordi quanto accaduto sabato 20 settembre, quando ben quattro aeroporti europei (Dublino, Londra Heathrow, Bruxelles e Berlino) sono stati bloccati da un attacco informatico al sistema di check-in (accettazione) che ha mandato in tilt le partenze, portando alla cancellazione di metà dei voli previsti. Anche in questo caso, restano aperte le domande su finalità e natura: segnali o attacchi? Possono considerarsi “solo” azioni di disturbo, esibizioni non armate tese a dimostrare l’elevata capacità di penetrazione russa? E a quale scopo: intimidazione, avvertimento, minaccia?

Secondo gli esperti, così facendo, la Russia sta predisponendo a suo favore un futuro tavolo di pace, al fine di giungervi forte della dimostrata capacità d’azione, in grado di andare ben oltre i territori ucraini. E, a quanto pare, questo potrebbe finalmente verificarsi: Putin e Trump stanno per incontrarsi a Budapest e la fine della guerra sta sul tavolo come la decisione più attesa del mondo dopo l’avvenuta tregua della Terrasanta (anche se già fragilissima e violata).

Resta comunque aperta la questione attorno ad azioni né guerresche né pacifiche, definite cyber-attacchi o guerra ibrida: una “quasi guerra” non dichiarata, agita tramite la tecnologia, possibile senza portare gli scarponi sugli altrui suoli.

La prof.ssa Mariarosaria Taddeo, docente di Etica digitale e Difesa tecnologica all’Università di Oxford, a Pordenone nei giorni di Pordenonelegge, guardando a questi episodi con gli occhi della filosofa di Etica e non da interventista, ha messo in guardia dal trattarli con leggerezza. Ha spiegato che la guerra e la difesa in particolare – fatto questo non secondario, giacché le persone sono tanto contrarie alla guerra quanto propense alla difesa – cambia molto più velocemente della capacità o della volontà degli uomini di vederla per quello che è, e di comprendere che è necessario normarla. Detto esplicitamente: a partire dalla Guerra del Golfo la digitalizzazione è entrata nei sistemi difensivi nazionali e oggi ne è imprescindibile. Così i modi e gli effetti dell’uso delle armi – pure in rapido divenire – sono cambiati prima che gli uomini ne comprendessero a pieno le conseguenze. Così oggi chiamiamo guerra l’azione di esercito contro esercito (Russia-Ucraina) ma lasciamo spesso nel non definito i casi in cui a compiere azioni di attacco siano macchine che si muovono senza un uomo a bordo, o macchine azionate da altre macchine (droni, missili), dotate di intelligenza artificiale (AI). Il non definire, e soprattutto il non normare, non aiuta però a gestire quanto accade: l’AI oggi non solo pilota droni e missili ma individua anche i target (obiettivi), mappando in autonomia i territori. Ebbene, quando miete numeri elevati di vittime (Gaza docet), è individuabile una responsabilità? E a danno di chi? Solo di fronte agli effetti più drammatici si comincia a percepire quanto sia urgente porre mano alla questione. E’ indispensabile che le nazioni, nell’ottica della reciproca salvaguardia, si accordino per normare le azioni e gli strumenti di nuova generazione. Sembra una questione di lana caprina ma non lo è: i numeri dei civili straziati lo hanno già messo sotto i nostri occhi.

Va pure ricordato che nel mondo delle democrazie liberali anche guerra e difesa hanno regole e diritti da rispettare. Invece, in questa guerra delle macchine, attuata dalle autocrazie, regole e diritti sfumano nell’indeterminato, emergendo semmai a posteriori come condanna morale di fronte agli abissi di male commessi. Un ragionamento etico e una volontà normativa sono quindi urgenti, pena il ritrovarsi sempre più in balia di autocrati che – a suo dire -, servendosi delle nuove tecnologie, agiranno impunemente e non solo in ambiti di guerra. Ne abbiamo già concrete avvisaglie.

Simonetta Venturin