Omelia di papa Leone XIV per l’Assunta 2025: “Maria è quell’intreccio di grazia e libertà che sospinge ognuno di noi alla fiducia, al coraggio, al coinvolgimento nella vita di un popolo”

Sorelle e fratelli carissimi,

oggi non è domenica, ma in modo diverso celebriamo la Pasqua di Gesù che cambia la storia. In Maria di Nazaret c’è la nostra storia, la storia della Chiesa immersa nella comune umanità. Incarnandosi in essa il Dio della vita, il Dio della libertà ha vinto la morte. Sì, oggi contempliamo come Dio vince la morte, mai senza di noi. Suo è il regno, ma nostro è il “sì” al suo amore che tutto può cambiare. Sulla croce Gesù liberamente ha pronunciato il “sì” che doveva svuotare di potere la morte, quella morte che ancora dilaga quando le nostre mani crocifiggono e i nostri cuori sono prigionieri della paura, della diffidenza. Sulla croce la fiducia ha vinto, ha vinto l’amore che vede ciò che ancora non c’è, ha vinto il perdono.

E Maria c’era: era là, unita al Figlio. Possiamo oggi intuire che Maria siamo noi quando non fuggiamo, siamo noi quando rispondiamo col nostro “sì” al suo “sì”. Nei martiri del nostro tempo, nei testimoni di fede e di giustizia, di mitezza e di pace, quel “sì” vive ancora e ancora contrasta la morte. Così questo giorno di gioia è un giorno che ci impegna a scegliere come e per chi vivere.

La liturgia di questa festa dell’Assunta ci ha proposto il brano evangelico della Visitazione. San Luca trasmette in questa pagina la memoria di un momento cruciale nella vocazione di Maria. È bello ritornare a quel momento nel giorno in cui celebriamo il traguardo della sua esistenza. Ogni storia, anche quella della Madre di Dio, sulla terra è breve e finisce. Nulla però va disperso. Così, quando una vita si chiude, la sua unicità brilla più chiara. Il Magnificat, che il Vangelo pone sulle labbra della giovane Maria, ora sprigiona la luce di tutti i suoi giorni. Un singolo giorno, quello dell’incontro con la cugina Elisabetta, contiene il segreto di ogni altro giorno, di ogni altra stagione. E le parole non bastano: occorre un canto, che nella Chiesa continua a essere cantato, «di generazione in generazione» (Lc 1,50), al tramonto di ogni giornata. La fecondità sorprendente della sterile Elisabetta confermò Maria nella sua fiducia: le anticipò la fecondità del suo “sì”, che si prolunga nella fecondità della Chiesa e dell’intera umanità, quando è accolta la Parola rinnovatrice di Dio. Quel giorno due donne si incontrarono nella fede, poi rimasero tre mesi insieme a sostenersi, non solo nelle cose pratiche, ma in un nuovo modo di leggere la storia.

Così, sorelle e fratelli, la Risurrezione entra anche oggi nel nostro mondo. Le parole e le scelte di morte sembrano prevalere, ma la vita di Dio interrompe la disperazione attraverso concrete esperienze di fraternità, attraverso nuovi gesti di solidarietà. Prima di essere il nostro destino ultimo, infatti, la Risurrezione modifica – anima e corpo – il nostro abitare la terra. Il canto di Maria, il suo Magnificat, rafforza nella speranza gli umili, gli affamati, i servi operosi di Dio. Sono le donne e gli uomini delle Beatitudini, che ancora nella tribolazione già vedono l’invisibile: i potenti rovesciati dai troni, i ricchi a mani vuote, le promesse di Dio realizzate. Si tratta di esperienze che, in ogni comunità cristiana, dobbiamo tutti poter dire di aver vissuto. Sembrano impossibili, ma la Parola di Dio ancora viene alla luce. Quando nascono i legami con cui opponiamo al male il bene, alla morte la vita, allora vediamo che nulla è impossibile con Dio (cfr Lc 1,37).

A volte, purtroppo, dove prevalgono le sicurezze umane, un certo benessere materiale e quella rilassatezza che addormenta le coscienze, questa fede può invecchiare. Allora subentra la morte, nelle forme della rassegnazione e del lamento, della nostalgia e dell’insicurezza. Invece di vedere il mondo vecchio finire, se ne cerca ancora il soccorso: il soccorso dei ricchi, dei potenti, che in genere si accompagna al disprezzo dei poveri e degli umili. La Chiesa, però, vive nelle sue fragili membra, ringiovanisce grazie al loro Magnificat. Anche oggi le comunità cristiane povere e perseguitate, i testimoni della tenerezza e del perdono nei luoghi di conflitto, gli operatori di pace e i costruttori di ponti in un mondo a pezzi sono la gioia della Chiesa, sono la sua permanente fecondità, le primizie del Regno che viene. Molti di loro sono donne, come l’anziana Elisabetta e la giovane Maria: donne pasquali, apostole della Risurrezione. Lasciamoci convertire dalla loro testimonianza!

Fratelli e sorelle, quando in questa vita “scegliamo la vita” (cfr Dt 30,19), allora in Maria, assunta in Cielo, abbiamo ragione di vedere il nostro destino. Lei ci è donata come il segno che la Risurrezione di Gesù non è stata un caso isolato, un’eccezione. Tutti, in Cristo, possiamo inghiottire la morte (cfr 1Cor 15,54). Certo, è un’opera di Dio, non nostra. Tuttavia, Maria è quell’intreccio di grazia e libertà che sospinge ognuno di noi alla fiducia, al coraggio, al coinvolgimento nella vita di un popolo. «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49): possa ognuno di noi sperimentare questa gioia e testimoniarla con un canto nuovo. Non abbiamo paura di scegliere la vita! Può sembrare in genere pericoloso, imprudente. Quante voci sono sempre lì a sussurrarci: “Chi te lo fa fare? Lascia perdere! Pensa ai tuoi interessi”. Queste sono voci di morte. Noi invece siamo discepoli di Cristo. È il suo amore che ci spinge, anima e corpo, nel nostro tempo. Come singoli e come Chiesa noi non viviamo più per noi stessi. È proprio questo – è solo questo – a diffondere la vita e a far prevalere la vita. La nostra vittoria sulla morte inizia fin da ora.