L’imperativo di garantire i civili

fame, morte e macerie a Gaza (foto AFP Sir)

L’imperativo di garantire i civili

Simonetta Venturin

Prendere per fame era una delle più antiche strategie di guerra, quando le guerre erano fatte di cavalieri armati di lance e le città si difendevano arroccandosi in cima ai colli.

Prendere per fame accade di nuovo a Gaza, dove Israele bombarda civili per colpire i terroristi di Hamas, dalle cui fila sono usciti coloro che hanno messo in atto la strage del 7ottobre e tra le cui fila si nascondono coloro che ancora trattengono cinquanta degli oltre duecento ostaggi rapiti, di cui si sospetta ormai che solo una ventina siano in vita. Tutto vero, eppure.

Eppure oltre cinquantamila vittime (55.202 quelle censite fino al 15 giugno, di cui 17.121 minori ovvero circa un terzo) sono un tributo di sangue degno di Erode, che nessuno vorrebbe avere sulla coscienza. Eppure, dopo mesi di guerra l’aggiunta del blocco dei rifornimenti alimentari di dodici settimane (tra marzo e maggio) ha affamato i sopravvissuti ai missili e droni. Lo testimoniano i servizi che raccontano delle resse all’arrivo dei sacchi di farina o alla distribuzione di cibo a cui qualcuno attinge e molti restano esclusi. Lo ribadiscono oltre ogni dubbio i volti disperati di madri che tornano a mani vuote dai figli e quelli di bambini e ragazzini con i lacrimoni agli occhi e la rabbia di urlate parole.

La situazione risulta peggiorata da quando a gestire la distribuzione di cibo non sono più le Nazioni Unite e neppure le organizzazioni umanitarie internazionali o le ong, ma direttamente la Ghf (Gaza Humanitarian Foundation) un gruppo creato da veterani americani in collaborazione con Israele. L’obiettivo è chiaro, evitare che il cibo cada nelle mani di Hamas, ma nel concreto il nuovo sistema ha peggiorato la situazione dei civili, tanto che nell’ultimo mese le morti avvenute tra chi aspetta i sacchi di farina sfiorano quota cinquecento.

La dinamica che si ripete è la stessa: le persone arrivano ai centri costruiti per la distribuzione del cibo, si accalcano ai cancelli e, alla vista dei camion con i viveri, irrompono. E’ in quel momento che si sentono gli spari. Queste ricostruzioni sono state riferite dai palestinesi ma pure confermate da militari israeliani che hanno ammesso i “colpi di avvertimento” per evitare calche pericolose. Non sparano però a salve.

Nell’ultima sua riunione, il Consiglio europeo ha dedicato alla situazione alcuni punti, racchiusi nelle conclusioni del 26 giugno. Vi si legge la richiesta “di un cessate il fuoco immediato a Gaza e la liberazione incondizionata di tutti gli ostaggi” e la deplorazione riguardo “la drammatica situazione umanitaria a Gaza, il numero inaccettabile di vittime civili e i livelli di inedia”. Molti si sarebbero attesi qualcosa di più energico e concreto di una sanzione morale verso Israele almeno riguardo la questione cibo: Israele, infatti, è stato invitato – questo il verbo utilizzato – “a revocare integralmente il blocco su Gaza, a consentire un accesso immediato e senza ostacoli e una distribuzione continua dell’assistenza umanitaria su vasta scala a e in tutta Gaza”; è stata ribadita la necessità di “consentire alle Nazioni Unite e alle relative agenzie, come pure alle organizzazioni umanitarie, di operare in modo indipendente e imparziale per salvare vite e ridurre le sofferenze”, dato che anche Israele deve rispettare “gli obblighi che gli incombono in virtù del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario”, tra quali vi è “l’imperativo di garantire, in ogni momento, la protezione di tutti i civili, compresi gli operatori umanitari, nonché delle infrastrutture civili, comprese le strutture mediche, le scuole, le sedi delle Nazioni Unite”.

E’ quindi vero che il Consiglio deplora la mancata consegna degli ostaggi da parte di Hamas, che condanna l’escalation in Cisgiordania e l’accresciuta violenza dei coloni (espansione degli insediamenti illegali), ma è altrettanto vero che, nonostante ciò, la decisione di misure concrete (sanzioni) verso Israele è stata di rinviata alla prossima riunione (luglio 2025).

C’è chi ha letto in questo stallo una titubanza a muoversi contro Israele, vista la salda alleanza con gli Usa; chi un’attesa del tanto sperato cessate il fuoco anche sul fronte del Medio Oriente, che alcune voci dicono prossimo, probabilmente a firma Trump. Confidiamo che sia così e si torni con la pace a difendere davvero la vita.