Tagli Usaid: la guerra agli ultimi non formalmente dichiarata

Gaza (foto AFP SiR)

L’America first che ha riportato Donald Trump alla presidenza degli Usa ha avuto, tra le tante, una conseguenza che è passata in sordina rispetto ai colpi di scena quotidiani. Quel che rischia di sfuggire – e non deve – è che, tra i primi provvedimenti presi, c’è stato il congelamento dei fondi all’Usaid, l’Agenzia per gli aiuti umanitari degli Stati Uniti nata negli anni ’60 con J.F. Kennedy per portare aiuto alle gravi situazioni di crisi nel mondo. Aiuti sostanziosi e indispensabili che, fino al 2024, hanno coperto la metà di tutte le risorse devolute in aiuti umanitari ovunque ce ne fosse bisogno.

Duplici gli effetti della decisione di Trump: da una parte il brutale snellimento della struttura (del 97%), che passa dai 10mila ai 290 dipendenti in un colpo di penna; dall’altra l’immediato taglio alle risorse destinate a progetti vitali (60 miliardi di dollari). Un taglio di questo tenore – imposto ed eseguito in un’unica manovra, bloccando de facto risorse senza preavviso e quindi senza la possibilità di una riorganizzazione -, ha lasciato milioni di persone in immediata e grave difficoltà, una difficoltà tale da minacciarne la sopravvivenza.

L’Usaid opera in 140 paesi, sostenendo finanziariamente organizzazioni non governative impegnate in progetti di varia natura: dalla lotta alla malnutrizione alle vaccinazioni, dalle emergenze sanitarie e ambientali alla scolarizzazione, compresa la gestione dei post conflitti. Il disposto congelamento delle risorse per 90 giorni e la prospettiva di trasformare Usaid da Agenzia federale indipendente ad una Divisione del Dipartimento di Stato (che non darà il placet a nessun progetto non allineato alla visione del presidente Usa) ha congelato circa il 70% di programmi d’aiuto di vitale importanza per enormi porzioni di popolazione in Africa Subsahariana, Yemen, Myanmar, Birmania, America Latina, Ucraina e altri ancora. Non va dimenticato che sono milioni le persone che abbisognano di aiuto per sopravvivere e che la sola malnutrizione colpisce oggi poco meno di un miliardo di abitanti della terra.

“Un un affronto disumano alla dignità umana”

In Sudan la guerra scoppiata nel 2023 ha provocato 12 milioni di sfollati: 8,5 interni e 3,5 migrati negli stati confinanti di Egitto, Sud Sudan e Ciad. Sono per lo più donne e bambini, spesso vedove e orfani dato che gli uomini vengono uccisi nella lotta sanguinosa delle forze paramilitari che si contrappongono con una tale ferocia da meritare nel 2024 la definizione di genocidio da parte del presidente Usa Biden. L’Onu ha definito quello del Sudan “uno dei maggiori disastri umanitari a memoria d’uomo”. Eppure, chi li aiuta si è visto tagliare i mezzi per farlo, non diversamente dal Ciad, uno dei paesi più poveri al mondo che ha accolto un milione di sudanesi ora a rischio fame. Nel Darfur, regione desertica del Sudan, la carestia è conclamata e la popolazione ha poca possibilità di ricevere qualcosa a causa degli scontri in corso: senza sostegno la tragedia non può che traboccare. E questo è uno degli effetti della cecità del provvedimento: chi è aiutato resta nel suo paese, chi non lo è si trova tra fame e guerra e, per sopravvivere, scappa. Anche l’Onu ha lanciato un appello per il Sudan chiedendo 6 miliardi di dollari per assistere 26 milioni di persone; nel 2024 un terzo della cifra era venuto proprio dall’Usaid.

Nello Yemen la vita di metà degli abitanti (20 su 40 milioni) dipende dagli aiuti umanitari; situazione fattasi più difficile dal novembre 2023, quando i ribelli Houthi (gli stessi che attaccano le navi commerciali in transito per il Mar Rosso) controllano un terzo del paese. Nel 2024 gli Usa hanno inviato 685 milioni di dollari (1,1 miliardi nel 2019) per l’assistenza ai più fragili (cibo, acqua, malnutrizione infantile, programmi igienico sanitari). A tutto questo si aggiunge ora l’allarme colera (250mila casi) lanciato dall’Oms. Cosa sarà di tutti loro senza risorse è tremendo immaginare.

In Myanmar dura da quattro anni la guerra civile, scoppiata quando un golpe militare ha rovesciato il governo del Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Le vittime sono migliaia, gli sfollati interni 3,5 milioni. I funzionari Usaid, licenziati per le vie brevi dal decreto Trump, hanno rivelato il paradosso: magazzini con cibo e medicine che nessuno distribuisce, dato che tutto il personale ha perso il posto all’improvviso. In più, una volta terminate le riserve, chi aiuterà la popolazione che non ha quasi più niente? Dall’Usaid, nel solo 2024, erano arrivati aiuti per 114 milioni di dollari.

Tagli che bloccano aiuti e mettono in forse milioni di vite

In Siria, altro paese devastato dalla guerra, a causa della sospensione dei progetti di cooperazione di Usaid annunciata il 20 gennaio – che la sera del 25 febbraio si è concretizzata nella chiusura del 90% dei progetti dell’ente -, oltre 4,5 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria salva-vita rischiano di restare senza sostegno. Lo ha denunciato Un Ponte Per (Upp), organizzazione non governativa italiana attiva nel nord est del paese da 10 anni: “Con i tagli decisi da Trump diventa impossibile per le Ong internazionali continuare ad assistere milioni di siriani in stato di necessità”.

Anche in America Latina sono stati bloccati diversi progetti: in Messico (per la gestione della migrazione), Brasile e Perù (conservazione della foresta amazzonica e lotta al narcotraffico), Guatemala (giustizia, istruzione, sanità), Salvador (progetti sanitari e agricoli).

Le risorse Usaid arrivavano anche in Ucraina: in una guerra che colpisce i civili non meno dei soldati c’è bisogno di tutto: cibo, medicine, vestiario e altro ancora. Inoltre, i fondi Usaid andavano a sostenere i media indipendenti – e quindi liberi – tanto in Ucraina quanto nell’Est Europa: senza quell’aiuto tv, giornali, radio perderanno la loro voce, lasciando attiva solo quella della propaganda russa.

Colpita dai tagli è l’Africa. Ricevono aiuti Usaid: Mali, Repubblica Democratica del Congo, Zimbawe, Uganda. In Etiopia 5mila operatori sanitari erano impegnati in progetti vitali (sanità e alimentazione) ma come gli altri sono stati licenziati dall’oggi al domani. Anche l’Uganda – come ha raccontato don Dante Carraro, direttore del Cuamm “Medici con l’Africa” in un incontro tenutosi a Vittorio Veneto per la presentazione del libro “Con l’Africa” del giornalista pordenonese Giuseppe Ragogna – ha progetti sostenuti dall’Usaid: uno riguarda le vaccinazioni dei bambini, l’altro la lotta alla tubercolosi, che è in crescita. “Cosa diremo ora alle mamme che arrivano da noi?” ha chiesto don Dante.

Come il Cuamm tante Ong oltre a grossi nomi come l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ll’Unicef (il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) e Save the Children operano anche grazie a fondi Usaid, che li ha generosamente sostenuti con milioni di dollari, destinati dall’Oms a cure mediche, vaccini, sostegno alla maternità e dall’Unicef e Save the Children a progetti legati all’infanzia di bambini già sfortunati per le zone in cui vivono, portando cure e derrate alimentari a Gaza o programmi scolastico – ricreativi a bambini ucraini che da tre anni vivono tra bunker e paura.

Denunce sono arrivate anche da Terre des Hommes per i paesi in cui opera ovvero Libano, Iraq e Colombia, segnati da emergenze umanitarie con popolazioni estremamente vulnerabili. Terre des Hommes fornisce protezione, istruzione, assistenza sanitaria e supporto alimentare a migliaia di minori e famiglie. In Libano 3.700 bambini e bambine rifugiati palestinesi perderanno il supporto scolastico e 1.880 minori siriani e libanesi, recentemente sfollati nella regione della Bekaa a causa dell’estensione del conflitto israelo-palestinese, saranno privati dei servizi di protezione e supporto psicosociale. In Colombia la regione del Catatumbo è in preda alla violenza: quasi 5mila persone di cui oltre 2mila bambini, rischiano di non ricevere più i pasti. In Iraq 5mila bambini sfollati interni non riceveranno più protezione legale e supporto psicosociale.

Voltarsi dall’altra parte è un atto di libertà e crudeltà insieme. Gli Stati Uniti, attraverso i fondi Usaid, hanno portato aiuto con generosità in tante drammatiche situazioni di bisogno. Anche questo li ha resi grandi: l’essere una potenza economica che sapeva farsi potenza di aiuto.

Come ha dichiarato Alistair Dutton, Segretario generale di Caritas International (162 organizzazioni cattoliche di soccorso e sviluppo in 200 paesi nel mondo): “Riconosciamo il diritto di ogni nuova amministrazione di rivedere la propria strategia di aiuto all’estero. Tuttavia il modo spietato e caotico in cui questa decisione insensibile viene attuata minaccia la vita e la dignità di milioni di persone (…), destabilizzerà le regioni che dipendono da questo sostegno e condannerà milioni di persone alla povertà disumanizzante o addirittura alla morte. Questo è un affronto disumano alla dignità umana”.