L'editoriale
Prognosi riservata

Da quasi un mese a questa parte ogni volta che sentiamo parlare di prognosi riservata il pensiero va a papa Francesco che lotta contro una brutta polmonite con il suo fisico stancato dagli anni e lo spirito fortificato dal desiderio di non venire meno al suo ministero.
Ma da una settimana, la prognosi riservata è pure la condizione in cui si trova il mondo, specie dalla nostra prospettiva occidentale, esterrefatta davanti alla imprevedibile piega degli eventi. Che sta accadendo e soprattutto che accadrà adesso? Sono interrogativi diffusi, attoniti tutti dopo le scene inimmaginabili come la mala accoglienza riservata dal presidente Usa Trump al presidente Ucraino Zelensky: non solo maltrattato ma anche ritratto come un guerrafondaio, lui l’aggredito che da tre anni cerca di non consegnare all’aggressore il paese che lo scelto. Esiste ancora la legittima difesa o il diritto a difendersi si è ribaltato nel suo contrario: il diritto di attaccare e invadere?
Pochi giorni prima dell’incontro, lo stesso Trump, che in campagna elettorale aveva sbandierato la capacità di fermare le guerre in poco più di un battibaleno, ha postato dal suo account presidenziale un video su “Trump Gaza”. Orrendo mondo virtuale in cui, su musiche arabeggianti, si danza e ci si rilassa su un villaggio turistico pluristellato, le cui fondamenta poggiano su migliaia di morti e una tregua nuovamente appesa a un filo dopo gli accordi di sei settimane fa. Doppio schiaffo alle sofferenze di civili inermi – in Ucraina come a Gaza – bombardati e uccisi.
Quando chi è più forte abbandona i sentieri dei diritti universalmente riconosciuti per imporre il proprio volere allora costui sta deviando da quel mondo civile in cui abbiamo vissuto per incamminarsi su strade di un altro regno, dove l’istinto e la propria convenienza prevalgono su ragione e diritto. Di solito questo accade nel cosiddetto mondo della giungla: e lì che il più forte vince e domina, a prescindere da torti fatti o subiti e in virtù della sola potenza posseduta.
Nell’episodio accaduto alla casa Bianca, cui ha fatto seguito la sospensione degli aiuti degli Usa a Kiev, il forte ha tante potenze da sfoggiare: politica, economica, energetica, militare e pure informativa. Lo stesso vale per l’altro forte con cui Zelensky e l’Ucraina si stanno misurando: Putin.
Tutto questo spiazza noi europei due volte. Da una parte perché alleati degli Usa non sappiamo più riconoscerne i tratti distintivi e quindi non sappiamo più con chi stare in questo mondo che all’improvviso cambia fino a capovolgersi. Dall’altra perché, proprio in quanto europei, gli scenari di guerra non ci appartengono da ottanta anni e abbiamo ritenuto questo prolungato periodo di pace, costato il sangue di milioni di nostri avi, una conquista e una benedizione. Ora è il momento del disorientamento, della titubanza ma anche della scelta sul da farsi: tra chi pensa al riarmo e chi, confidando che si possa ancora parlare di pace e trovare accordi, muove la diplomazia: come accaduto con le riunioni in Gran Bretagna dello scorso fine settimana o il programmato incontro del Consiglio europeo a calendario per giovedì 6 marzo.
Quel che accadrà o come ci arriveremo è impossibile a dirsi in questi giorni di eventi gravi, vorticosi e spiazzanti. In medicina, quando la malattia che assale un malato si fa suscettibile di evoluzioni non prevedibili, anche gravi, la prognosi si fa riservata. Lo stesso vale in questi giorni per il mondo.