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Geopolitica. Graglia (Un. Milano): “L’Europa ‘circondata’ deve serrare i ranghi”

“È ormai evidente che l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca rappresenta una modifica significativa nei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Europa, anche se la modifica non si limita ai rapporti euro atlantici”. I soggetti coinvolti dalle sortite del presidente Usa sono innumerevoli: basterebbe citare Canada, Cina, Panama, Messico. E la Groenlandia che, minacciata da Trump, ha premiato alle recenti elezioni le forze indipendentiste e nazionaliste. Sono temi all’ordine del giorno: sabato 15 marzo, a Roma, si terrà una manifestazione, che ha avuto ampie adesioni, per sottolineare il valore della pace e per invocare una vera e compiuta unità europea. Ne parliamo con Piero Graglia, professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali e presidente del Corso di laurea in Scienze internazionali e istituzioni europee dell’Università degli studi di Milano.
Piero Graglia (Foto SIR/P.G.)
Professore, affrontando il “ciclone Trump” è perfino difficile stabilire… da dove partire. Cominciamo dai dazi e dalle sue politiche commerciali.
Trump porta avanti una politica commerciale mercantilista, un revival delle politiche protezioniste degli anni ‘30 fondate sul principio del “beggar thy neighbor” (impoverisci il tuo vicino), una politica commerciale miope, ottusa, che non a caso sta sollevando enormi critiche all’interno degli Stati Uniti e nel resto del mondo.Ciò che sfugge al presidente americano è che la posizione degli Stati Uniti dal punto di vista commerciale non è “egemonica”, pari al suo peso politico-militare;vi sono soggetti – come l’Unione europea e la Cina – che sono più significativi sia dal punto di vista commerciale (l’Unione europea) sia da quello economico (la Cina). La sua politica commerciale fondata sulla minaccia dell’adozione di dazi – minaccia che spesso diventa un rozzo elemento negoziale – avrebbe un senso perverso, ma razionale, se gli Stati Uniti fossero egemonici sul piano economico-commerciale; non essendolo, tale politica commerciale resta rozza, con in più la negatività per gli Stati Uniti dell’isolamento possibile, visto che i flussi commerciali possono benissimo orientarsi e riorganizzarsi altrove, trovando altre vie e mercati interessanti dove svolgersi. Questo è particolarmente vero per gli europei, per i cinesi, e per i Paesi dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altri emergenti).
Trump, la Russia e in mezzo c’è l’Europa.
Non ci possiamo nascondere che oltre alla politica commerciale vi sono altri problemi nei rapporti tra Usa, Europa e resto del mondo. La guerra di aggressione e di destabilizzazione che la Russia porta avanti dal 2014 nei confronti dell’Ucraina non può non avere conseguenze nei rapporti con la Russia, soprattutto considerando l’insieme delle misure sanzionatorie adottate dall’Unione europea, e sposate anche dagli Stati Uniti, nei confronti della Russia. Il cambio politico che la Presidenza statunitense propone, con un avvicinamento netto alla Russia, una sorta di “appeasement” rinnovato, isola l’Unione europea sul piano politico e ne richiede una cresciuta compattezza e capacità di decidere anche per quanto riguarda la sua posizione in politica estera e della difesa. Le due cose non sono la stessa problematica:la politica estera è un’istanza politica, per certi versi già inserita all’interno delle procedure dell’Unione, ma priva dell’importante requisito della sovranazionalità.La difesa è un aspetto più operativo, di integrazione effettiva dei dispositivi militari, e non può prescindere dall’approfondimento, almeno, del primo corno del dilemma, l’aspetto politico.
Già: sicurezza, difesa, ReArmEurope. Come la vede?
Non mi piace per niente questa frenesia di riarmo che non affronta assolutamente, in nessun modo, il problema politico. Così come non mi piace per niente l’enfatizzazione del ruolo della Commissione che, in questo contesto, svolge solo una funzione ancillare nei confronti del Consiglio. È infatti il Consiglio che deciderà la bontà o meno delle proposte della Commissione, prendendo le decisioni fondamentali in questo settore. Non credo vi sia un’imminente e concreta minaccia russa nei confronti dell’Unione europea; però non si può negare che vi sia un’ostilità latente della Russia nei confronti di ciò che viene definito, in maniera sprezzante, l’Occidente.L’Europa deve quindi parlare con una voce sola e avere una minima capacità militare integrata(anche a partire da una cooperazione rafforzata da parte di alcuni Stati dell’Unione più sensibili al problema e pronti a mettere in comune aspetti significativi della loro sovranità) semplicemente perché il contesto generale è mutato nel giro di poche settimane. Non si tratta più di difendersi, come ai tempi della guerra fredda, da un grande nemico a est; si tratta anche di guardarsi da ex amici che puntano alla frammentazione e all’incapacità dell’Unione europea di parlare con una voce sola e di avere una posizione comune solida.
E la Groenlandia?
Il caso della Groenlandia è in questo senso un ulteriore fronte che si è aperto di recente a seguito delle dichiarazioni del presidente statunitense sulle brame – impossibile definirle in altro modo – verso la grande isola artica. Insomma, ciò che la realtà di questo 2025 – iniziato molto male, con la presa di servizio dell’amministrazione Trump – ci consegna, è un’Europa sola e circondata da entità ostili e in attesa di suoi possibili passi falsi. Mai come adesso l’unità è sinonimo di capacità di leggere la realtà politica. Il sovranismo, grazie a Trump e Putin, torna a essere ciò che è stato nel passato, quando si chiamava nazionalismo: un vezzo suicida.