Pordenone
San Marco, il patrono della città va comunque celebrato
Sarà una festa speciale a causa delle restrizioni, ma non per questo meno importante
ieno di speranza il messaggio che mons. Otello Quaia, arciprete di San Marco, lancia da queste pagine, in prossimità della festa dedicata all’evangelista, patrono della città di Pordenone, oltre che di quella di Venezia, che custodisce le sue reliquie; evangelizzatore pure di Alessandria d’Egitto e del nord Italia.Marco, compagno e discepolo di Pietro e fedele collaboratore di Paolo, probabilmente morto intorno all’anno 68, è pure patrono di numerose categorie lavorative, sottoposte al pericolo di ferite alle mani – come gli scrivani, i vetrai, i pittori e gli ottici -, in ricordo della miracolosa guarigione che gli viene attribuita, del discepolo Aniano, calzolaio, feritosi mentre riparava i calzari di Marco stesso.L’evangelista è contraddistinto dal simbolo del leone alato, che artiglia un libro, con la scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”, divenuto lo stemma della Serenissima.Il 25 aprile, gli altri anni, vedeva la qualificata presenza delle autorità civili e militari, oltre a quella dei parroci della città, concelebranti assieme al Vescovo. Raccolti tutti nel tempio definito “Ornamentum civitatis et domus orationis”, in una pubblicazione degli Amici dell’Università Cattolica. Edificio impreziosito dai numerosi interventi di restauro, in parte promossi e seguiti dallo stesso arciprete, docente di Storia della Chiesa e Patristica.Duomo divenuto “concattedrale” dal 1974, col trasferimento della sede vescovile da Portogruaro a Pordenone. Arricchito pure dalla realizzazione delle vetrate, oltre al riordino del presbiterio, per accogliere i numerosi celebranti, nei vari eventi che qualificano la vita della città e della diocesi.Evento – quello del 25 aprile -, che vedeva l’apporto anche delle principali associazioni cittadine, con la consegna del “Premio San Marco”, con quasi 10 lustri di storia, seguito dalla “fortaiada”, in zona Santissima.Sarà festaCosì formula il messaggio, monsignor Quaia: “Sembra un paradosso scrivere di una festa che non ci sarà. Quest’anno, per la situazione di emergenza che stiamo vivendo, il 25 aprile non vedrà la grande e corale commemorazione della Liberazione nelle piazze di tutta Italia, non vedrà il mega concerto canoro di piazza San Giovanni a Roma, non vedremo gente dai fazzoletti variopinti che agita bandiere e si sgola cantando Bella ciao.Anche Pordenone dovrà rinunciare ai riti nazionali. Dovrà inoltre mettere in silenzio anche uno degli appuntamenti più significativi della vita cittadina, vale a dire il ritrovarsi in Municipio per la cerimonia della consegna del Premio San Marco ai pordenonesi che si sono distinti nelle arti, nelle professioni, nel sociale, meritando il riconoscimento della città.E che ne sarà del ricordo gioioso del patrono San Marco, al quale i nostri avi affidarono la protezione della comunità tutta? Non sentiremo i rintocchi delle campane, nel concerto festoso dei scampanotadors friulani, che ci tenevano, in modo tutto particolare, a questo appuntamento. Ma ci mancherà soprattutto, nel nostro Duomo-Concattedrale, il pontificale solenne del Vescovo Pellegrini, che in questa occasione, solitamente, si rivolgeva alle autorità presenti, per una riflessione non scontata, sul momento che la comunità cittadina ed ecclesiale stava attraversando.Cancellato tutto? No, il ricordo e le realtà esistenti non potranno essere cancellate dal corona-virus.Durante il pontificale, veniva portato in duomo il Gonfalone cittadino, simbolo della dedizione della città al patrocinio di San Marco. Un aiuto che, dal 1200, si è concretizzato in una crescita costante della comunità, dal punto di vista economico e sociale e che nel rapporto solidale e rispettoso fra cittadini di diversa estrazione, religiosa o meno, ha dimostrato tutto il valore di una collaborazione essenziale per il bene comune.I tempi che ci sono dati da vivere oggi, non sono certamente facili, neanche per Pordenone. Ma se contempliamo San Marco nel suo bellissimo duomo e scopriamo lo stemma della Città, ivi riprodotto per ben due volte, potremo sperare ancora di far festa tutti insieme, laici e credenti”.