Aldo Moro: ucciso 40 anni fa, il 9 maggio 1978

Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978) è stato un politico, accademico e giurista italiano, segretario politico e presidente del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana; ne fu segretario dal 1959. Fu più volte ministro; cinque volte Presidente del Consiglio; promosse nel 1974-76 la strategia dell’attenzione verso il Partito Comunista Italiano.Fu rapito il 16 marzo 1978, ucciso il 9 maggio dalle Brigate Rosse.

Sono passati quarant’anni da quel 9 maggio 1978, uno dei giorni più drammatici della storia recente del nostro paese: dopo 55 giorni di rapimento, le Brigate Rosse uccisero il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, il cui corpo fu lasciato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, a pochi metri dalle sedi della Dc, in piazza del Gesù, e del Pci, in via delle Botteghe oscure.Molti gli aspetti non chiariti del rapimento e della mancata liberazione dello statista. Molti i tratti della sua attività politica e della sua riflessione che meritano di essere studiati e ripresi. Ne parliamo con il prof. Marco Almagisti, docente di Scienza Politica all’Università di Padova.

Professore, perché ricordare Aldo Moro?Non solo per la sua tragica fine, un destino non inevitabile e legato al suo disegno politico. Il ricordo va allargato a tutta la sua vita. Aldo Moro è stato interprete tra i più acuti e intelligenti del dopoguerra e degli anni ’70. E’ stato un personaggio complesso: leader politico e intellettuale, ha sempre unito e intrecciato queste due dimensioni.Le sue principali intuizioni politiche?E’ stato un importante padre costituente, protagonista della prima parte della nostra storia repubblicana. È stato un leader divisivo, molto amato ma anche molto odiato, in virtù delle sue decisioni. Negli anni ’60 vide nel centrosinistra, e dunque nell’apertura al Partito socialista, la via d’uscita all’ormai esaurita stagione del centrismo. Fu il vero artefice di quel centrosinistra che diede il via a una serie di riforme capaci di rispondere alle richieste di cambiamento del Paese. Negli anni ’70 ci fu il tentativo di dare vita a quella che Moro chiamava la “Terza fase”, la stagione di apertura al Pci che non coincideva però con il progetto di compromesso storico che veniva allora elaborato dal leader comunista Enrico Berlinguer.Quali le differenze?Berlinguer pensava a un rafforzamento della democrazia imperniato su un accordo stabile di governo tra i due grandi partiti di massa, Dc e Pci e con questo ad un nuovo inizio della storia repubblicana. Moro, invece, proponeva un’alleanza temporanea con il Pci, un passaggio che consentisse al Pci di diventare “partito di governo”, da un lato spingendo anche i comunisti alla responsabilità di scelte e politiche di governo e dall’altro favorendo la normalizzazione del Pci presso l’opinione pubblica moderata, i poteri forti, gli altri partiti. Il punto d’arrivo, per Moro, era la democrazia dell’alternanza anche nel nostro Paese.Idea audace…E in anticipo sui tempi, se si pensa che il Muro di Berlino cadrà 11 anni dopo la morte di Moro. La rischiosità del suo disegno era dovuta al fatto che venivano forzati gli equilibri imposti dalla situazione internazionale al fine di migliorare la qualità della democrazia nel nostro Paese. Proprio in quel momento la vicenda politica di Moro incrociò il terrorismo.

Un caso?Direi di no. Quando parlo di disegno politico ad alto rischio, intendo anche questo. Esponenti delle Brigate Rosse sostennero di aver rapito Moro perché era più difficile sequestrare Andreotti, ma mi pare una spiegazione ex post, che “vela” la realtà nel momento che pretende di svelarla. Moro non venne scelto a caso, aveva elaborato una strategia riformista per affrontare i problemi del nostro Paese. Le Br non potevano accettare soluzioni riformiste e agivano in un contesto facilmente manipolabile. Tuttavia, va detto che le stesse Brigate Rosse non colsero appieno la profondità del disegno di Moro. Le Br vedono Moro come un esecutore di politiche atlantiche, un membro dello Stato imperialista delle multinazionali. Moro lottava invece per difendere il suo progetto politico, che consisteva nel garantire al Paese il massimo di indipendenza possibile in un contesto di guerra fredda. Ci sono passaggi impressionanti nel suo Memoriale. Mentre molti uomini politici, anche suoi compagni di partito, lo consideravano non più lucido, se non impazzito, lui prefigurava le conseguenze per la vita democratica del Paese se il suo disegno riformaotre fosse stato sconfitto.Con la morte di Moro si è spenta quella corrente di pensiero nota come Cattolicesimo democratico?I tempi cambiano e Aldo Moro appartiene a pieno titolo al primo periodo repubblicano, molto diverso dall’attuale. Il Paese oggi sente la mancanza delle grande fucine di personale politico, contesti altamente formativi capaci di creare classe dirigente, com’erano il Pci e l’associazionismo cattolico. I leader che uscivano da queste scuole erano preparati e di solida cultura politica. Questo manca. Ed è un fenomeno diffuso in tutte le democrazie, legato anche alle trasformazioni tecnologiche. In Italia però è più accentuato per il collasso delle famiglie politiche fondatrici della Repubblica all’inizio degli anni Novanta. Da allora si sono tentate nuove vie: il partito costruito attorno al leader mediale Silvio Berlusconi,; la Lega che ha recuperato il radicamento territoriale e conta sugli amministratori locali; il Movimento 5 Stelle.E il mondo cattolico?Il mondo cattolico ha espresso una notevole vivacità, anche a livello formativo, ma la difficoltà sta nell’opera di coniugare la riflessione culturale e politica, con la costruzione di competenze legate all’azione, alla costruzione di effettivo consenso democratico. Un problema avvertito anche a sinistra. In democrazia il consenso non può essere messo tra parentesi. Moro era, invece, capace di riflettere avendo presente l’esigenza del consenso?Moro intercettava meglio di qualunque altro politico del suo tempo i cambiamenti: pensiamo al protagonismo delle donne, dei giovani.… La mattina del suo rapimento stava correggendo un articolo per il quotidiano “Il Giorno”, nel quale criticava alcune posizioni emerse nel Pci in merito ai movimenti giovanili. Moro evidenziava le potenzialità positive insite anche nei fenomeni della contestazione di allora. I giovani lui li incontrava nelle aule universitarie, era abituato a confrontarsi con loro.In questo difficile frangente politico italiano, siede al Quirinale forse l’ultimo leader moroteo e cattolico democratico, Sergio Mattarella. Sta gestendo la crisi in stile Aldo Moro?Mattarella sta interpretando il suo ruolo con rispetto e serietà, utilizza gli strumenti in suo possesso per ricomporre un quadro complicato, che deriva da vent’anni di “maggioritario all’italiana”, nel quale il confronto politico si è nutrito della sistematica delegittimazione dell’avversario. Così non siamo più abituati alla normalità del conflitto e alla necessità di mediarlo. Non siamo più abituati a costruire un cammino comune, intrecciando idee differenti.Bruno Desidera