Commento al Vangelo
Domenica 27 giugno, commento di don Renato De Zan
Molto spesso nella mentalità comune il miracolo viene concepito come un dono privilegiato che Dio fa al destinatario. Non è un concetto sbagliato, ma senz’altro è un concetto molto incompleto...

28.06.2015 – 13 TO-B
Mc 5,21-43 (forma abbreviata)
In quel tempo,
Gesù è la vita e la dona in abbondanza
Tematica liturgica
1. Nel libro del Levitico si legge: “Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera…” (Lv 15,19). Nel libro dei Numeri si legge: “Chi avrà toccato un cadavere umano sarà immondo per sette giorni” (Nm 9,11). Se l’essere umano entra in contatto con una realtà, persona o cosa, impura-immonda, diventa pure lui impuro-immondo. Se, invece, è Dio ad entrare in contatto con l’impuro-immondo, costui viene risanato.
2. Nel mondo biblico c’era una vera e propria paura dell’impurità perché essere impuro significava non possedere tutta la vita che era necessario possedere e quella parte di vita mancate era occupata dalla morte. “Impuro”, infatti, equivale a “mancante di vita”.
3. Il brano evangelico di Mc 5,21-43 narra come Gesù sia entrato in contatto con la donna impura, perché l’emorroissa lo tocca (“Da dietro toccò il suo mantello…”), e abbia toccato pure la salma della bambina (“Prese la mano della bambina…”). Gesù non diventò impuro perché l’emorroissa venne guarita e la figlia di Giàiro venne rivivificata. Sarebbe un impoverimento leggere i due avvenimenti come due miracoli soltanto. Sono prima di tutto due “teofanie” perché manifestano la divinità di Gesù.
4. La Liturgia preferisce soffermarsi sul valore teofanico dei due avvenimenti perché ha scelto come testo della prima lettura due dei brani più suggestivi sul tema, unificandoli e rendendoli un testo solo (Sap 1,13-15; 2,23-24). In questo brano sapienziale due sono le tematiche portanti: “Dio non ha creato la morte” e della morte “ne fanno esperienza coloro che appartengono” al diavolo. Chi appartiene a Dio fa esperienza di vita: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25-26)
Dimensione letteraria
1. La forma normale del vangelo (Mc 5,21-43) presenta un racconto (la rivivificazione della figlia di Giàiro) che ingloba un altro racconto (guarigione dell’emorroissa). La forma breve (Mc 5,21-24.35-43) presenta solo l’episodio della figlia di Giàiro).
2. Salvo per l’incipit liturgico (“In quel tempo”), il testo biblico e il testo biblico-liturgico del vangelo sono identici. Il tema di tutti e due gli interventi miracolosi è identico: le due creature invase dalla morte sono rese “pure”, piene di vita.
3. L’espressione aramaizzante “Talità kum” non significa esattamente “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. Vuol dire semplicemente “Fanciulla alzati”. È stato ritrovato un reperto archeologico risalente al sec. I d.C. (quasi contemporaneo a Gesù): l’iscrizione contiene il nome femminile “Thalethi”. La frase di Gesù potrebbe dire anche “Talità, alzati”, dove Talità sarebbe il nome della ragazzina
Riflessione biblico-liturgica
1. Molto spesso nella mentalità comune il miracolo viene concepito come un dono privilegiato che Dio fa al destinatario. Non è un concetto sbagliato, ma senz’altro è un concetto molto incompleto. Gesù non ha guarito tutte le emorroisse della Palestina del suo tempo e non ha rivivificato tutte le ragazzine del suo tempo, morte in giovane età. Ciò significa che i miracoli sono prima di ogni altra cosa “segni” di un altro mondo, il Regno di Dio che si fa presente nella storia.
2. I due miracoli narrati in Mc 5,21-43 manifestano la divinità di Gesù e la strenua volontà del Signore, che si è autodefinito “via, verità e vita” (Gv 14,6), di donare la vita agli uomini, sciogliendoli dalla prigione della morte.