Attualità
Le donne e l’Iran a Cinemazero

Serata speciale quella di giovedì 06 marzo per il quarto appuntamento di Aspettando Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario, il festival di Cinemazero giunto alla sua XVIII edizione, che si intreccia ad Anteprima Dedica, il programma di appuntamenti che anticipano la XXXI edizione del festival dedicato quest’anno allo scrittore iraniano-olandese Kader Abdolah.Alle 20.45, in occasione della Giornata Internazionale della donna, sul grande schermo sarà proietatto My stolen Planet di Farahnaz Sharifi, un racconto personale, toccante, intenso di una donna iraniana, che ama il suo Paese e la libertà.
Farah, nata durante la rivoluzione islamica in Iran nel 1979, all’età di sette anni si rende conto di vivere su due pianeti: quello degli Ayatollah e un altro, nascosto, dove osa essere sé stessa. Quando acquista una cinepresa il suo mondo cresce, nutrito dalla danza e dalla gioia. A ciò aggiunge gli archivi di filmati in 8mm lasciati da altre famiglie in esilio, creando così un’altra storia, che consegna al mondo, del suo paese. Nel “pianeta privato” di Sharifi le donne iraniane sono libere di essere se stesse e il banale diventa bello. Vengono ripresi momenti di passaggio, intimi, che ritraggono un aspetto opposto e più tranquillo della resistenza, ma anche i coraggiosi atti di protesta nelle strade. Dall’altro lato, il mondo esterno è sempre documentato, con i telefoni cellulari puntati in faccia e gli occhi digitali che osservano in continuazione. Attraverso la voce fuori campo, la regista mette in discussione il suo impulso a filmare tutto. Ma “filmare o non filmare” non è mai la domanda. Il cinema è testimone di tragedie e ingiustizie, e il cinema documentario è quindi anche infinitamente vitale.
Ospite della serata, grazie anche alla collaborazione con l’Associazione Neda Day, Mersedeh Ghaedi, attivista iraniana rifugiata in Europa.
«Mi chiamo Mersedeh. Nel 1982, io, i miei fratelli e mia cognata fummo arrestati brutalmente dalle guardie della Repubblica Islamica. Eravamo attivisti pacifici: ci accusarono di essere antirivoluzionari. Subii torture atroci, mentre la mia salute peggiorava a causa della mancanza di cure. Condannata a morte senza un processo equo, riuscii a salvarmi grazie a un permesso medico, che divenne la mia via di fuga dal Paese. Racconterò a Pordenone la mia storia per onorare i miei fratelli Sadiq e Reza, mia cognata e tutte le vittime che hanno dato la vita per le loro idee. Non dobbiamo dimenticare e dobbiamo impedire che simili atrocità si ripetano».