Commento al Vangelo
1° novembre, Tutti i santi, commento di don Renato De Zan
01.11.2025 Tutti i Santi
Mt 5,1-12
In quel tempo, 1 Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: 3 «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4 Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. 5 Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. 6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
I Santi ci insegnano a vivere e a morire come il Signore
Il Testo
1. Per la celebrazione odierna la Liturgia ha scelto come vangelo Mt 5,1-12a, sopprimendo Mt 5,12b (“Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi”). In questo modo viene tolto ogni paragone con gli antichi profeti e viene lasciato nitido l’invito a rallegrarsi per la ricompensa che attende i credenti in cielo. Il testo ha una premessa (Mt 5,1-2a) in cui Gesù sale sul monte come Mosè sul Sinai. Mosè propone la Legge, Gesù propone un “insegnamento” (“Si mise a parlare e insegnava loro”).
2. Le Beatitudini, dunque, non sono una Legge, ma un “insegnamento”. Sono la “buona novità” (euanghellion). Se le Beatitudini fossero dei “comandamenti” – e qualcuno purtroppo lo dice – Gesù tradirebbe se stesso. Il Vangelo è il vangelo della grazia: la salvezza viene da Dio con la cooperazione dell’uomo. I “comandamenti”, invece, presuppongono che l’uomo sia capace di salvare se stesso, semplicemente osservando la Legge. “Se la giustificazione viene dalla Legge – dice Paolo in Gal 2,21 -, Cristo è morto invano”.
L’Esegesi
1. Di solito si dice che le Beatitudini siano nove. Ed è così nel testo che leggiamo oggi. Se, però, prestiamo attenzione, il testo di Matteo ci riserva delle sorprese. La prima sorpresa nasce dal fatto che le prime otto Beatitudini sono alla terza persona plurale (“Beati essi…”), mentre la nona Beatitudine è alla seconda persona plurale (“Beati voi…”). Inoltre le prime otto Beatitudini hanno una costruzione identica (“Beati…perché…): La nona Beatitudine disattente tale costruzione e dice: “Beati voi, quando…”). Se poi, facciamo un esame stilistico, ci si accorge che la prima e l’ottava Beatitudine si chiudono con la stessa motivazione (“perché di essi è il Regno dei cieli”): ciò costituisce un’inclusione. Inizialmente, dunque, Matteo redige le prime otto Beatitudini e, successivamente, aggiunge una Beatitudine, la nona, sempre detta da Gesù, ma in circostanze diverse.
2. Il termine “giustizia” compare nella quarta e nell’ottava Beatitudine, dividendo in due strofe il brano. Le due strofe, poi, hanno la caratteristica della lettura in parallelo. Detto in termini più semplici la prima Beatitudine (“Beati i poveri in spirito”) va letta in parallelo con la prima Beatitudine (sarebbe la quinta) della seconda strofa (“Beati i misericordiosi”). Così si comprende che non si può essere misericordiosi, se non si è poveri in spirito e viceversa. Straordinaria è la comprensione della terza Beatitudine (“Beati i miti”), che non designa gli inoperosi pacifisti, ma designa i “Beati gli operatori di pace”, che è la Beatitudine corrispondente della seconda strofa.
3. Uno è “beato” (=amato da Dio) santo quando accetta e persegue l’imitazione di Cristo fino a diventare distaccato dai beni, ampio nel condividerli e sobrio nel fruirli, capace di soffrire la solitudine e l’incomprensione per la sua coerenza nei confronti della fede, profondamente consapevole di essere in mano a Dio in qualunque situazione, continuamente teso al meglio (nella sfera del possibile), ricco di atteggiamento non sanzionatorio verso gli altri, ma comprensivo (non tolleranza amorale, ma capacità di comprendere), pulito mentalmente e pervaso dalla Parola da cogliere Dio sapienzialmente in ogni circostanza, impegnato nella propria e altrui realizzazione all’interno della realizzazione del gruppo secondo la volontà di Dio, forte nel subire maltrattamenti, anche violentissimi, fino al martirio, per la propria fede. Queste sono le beatitudini ridette in un linguaggio contemporaneo.
Il Contesto Celebrativo
1. Nel 609 l’imperatore Foca donò al papa il tempio pagano del “Pantheon” (dedicato a tutti gli dei). Il 13 maggio dello stesso anno papa Bonifacio IV lo trasformò in chiesa cristiana. La consacrò, la innalzò al rango di basilica, dedicandola a Maria e a tutti i martiri (la dicitura latina esatta sarebbe: “S. Maria ad Martyres”). Per circa due secoli il 13 maggio fu la festa in cui i cristiani ricordavano tutte quelle persone che erano state rese simili a Cristo con il martirio. Finita l’era delle persecuzioni (dove la santità nasceva dal martirio), iniziò l’era in cui la santità nasceva dalla imitazione di Cristo, attraverso la pratica eroica delle virtù evangeliche. Così la comunità cristiana iniziò a ricordare accanto ai martiri anche i “confessori” (coloro che testimoniano o confessano con lo stile di vita la loro piena adesione ai precetti evangelici). Nell’ 835 la data della festa passò dal 13 Maggio al 1° Novembre e prese il nome di festa di tutti i Santi. Allora la festa era preceduta dal digiuno.
2. Il testo della prima lettura, Ap 7,2-4.9-14, spinge all’ottimismo. Una volta un saggio disse: “Che buona novella è il Vangelo se è così difficile andare in Paradiso e così facile andare all’Inferno!”. I salvati sono innumerevoli (144.000 è il prodotto di 12 x 12.000, cioè di un numero per un suo multiplo, come il perdono che deve essere dato 70 x 7, cioè “sempre”). I salvati sono, più precisamente, “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua”. I santi, dunque, sono molti di più di quelli “con l’aureola” della canonizzazione pontificia. Hanno tutti una caratteristica: “sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello”. Sono i battezzati che hanno mantenuto e vissuto la loro fede fino alla fine.
3. Il cristiano, se è fedele al proprio battesimo, è colui che “purifica se stesso”. Ciò equivale a dire che egli continuamente promuove in sé e negli altri la “vita vera”. Tutto ciò che è vita (psicologica, intellettuale, sociale, culturale, spirituale, ecc.) appartiene al suo interesse e al suo impegno: questa è la santità, secondo 1 Gv 3,1-3 (seconda lettura). Se, poi, il mondo non capisce questa logica perché identifica la “vita” nel fare ciò che piace e non ciò che realizza, il credente non si scandalizza e non si lascia deviare. L’obiettivo del cristiano, infatti, è essere (= diventare progressivamente) come Gesù Cristo.
