Domenica 14 settembre, commento di don Renato De Zan

Gv 3,13-17

In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: 13 Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Chiunque crede in Lui non va perduto, ma ha la vita eterna

Testo

1. Il colloquio con Nicodemo viene presentato da Giovanni in Gv 3,1-21. Nicodemo, capo dei Giudei, fariseo (Gv 7,50), andò di notte da Gesù per interrogarlo. Tre volte interviene Nicodemo (Gv 3,2.4.9). Due volte Gesù risponde in modo breve (Gv 3,3.5-8). Alla terza volta Gesù porge una risposta lunga e articolata (Gv 3,10-21). La Liturgia ha preso il testo evangelico della formula (Gv 3,13-17) da questa terza parte, tralasciando il v. 18 (“Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”) che completava la riflessione del Maestro. Inoltre, la Liturgia ha dovuto aggiungere un incipit (“In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo”) per chiarire chi sia il mittente (Gesù) e il destinatario (Nicodemo).

2. Il testo della formula si può suddividere a livello narrativo in tre unità. All’inizio troviamo una premessa (Gv 3,13) dove Gesù appare come colui che padroneggia le verità del cielo e della terra. Nella seconda unità (Gv 3,14) si trova un paragone (come – così): Gesù paragona il Figlio “innalzato” (crocifisso-risorto) al serpente innalzato nel deserto. Questo paragone serve a Gesù per concludere con una motivazione teologica fondamentale: “Perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. L’ultima unità è articolata. Per due volte si trova l’espressione esplicativa “Dio, infatti” seguita da un “perché” (Gv 3,16.17). Nella prima esplicativa Gesù motiva la salvezza data nel Figlio: Dio ama il mondo (= gli uomini indifferenti o nemici di Dio). La salvezza è qualche cosa che Dio persegue (“chi crede…non vada perduto”). Nella seconda esplicativa, Gesù chiarisce l’intenzione fondamentale di Dio: Egli manda il Figlio nel mondo non per condannare il mondo, ma per salvarlo.

Esegesi

1. La dicitura della premessa è un po’ strana: “Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo” (Gv 3,13). La frase allude alla Risurrezione-Ascensione, prima, e all’Incarnazione, poi. Sembra un intervento dell’evangelista a favore del lettore, non certo di Nicodemo. Gesù conosce i misteri di Dio e dell’uomo. Questo è il motivo per cui Gesù parla con autorità. La cosa è riconosciuta da Nicodemo fin dall’inizio del dialogo (“sappiamo che sei venuto da Dio come maestro”), ma con una motivazione diversa da quella del v. 13. Nicodemo dice, infatti: “Nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”. Per questo motivo, diversi biblisti sostengono che il v. 13 sia un versetto a beneficio di chi legge e non del capo dei Giudei.

2. Nella seconda unità (Gv 3,14) Gesù cita un episodio narrato in Nm 21,5-9. Quando gli ebrei incappano in una valle piena di serpenti velenosi per essersi ribellati a Dio e a Mosè, invocano l’aiuto divino per non morire. Dio viene loro incontro suggerendo a Mosè di innalzare su un palo un serpente di bronzo. L’ebreo, morsicato dal serpente, guarda il serpente di bronzo ed è salvo. La dinamica è semplice (e sconcertante). L’uomo pecca. Poi si pente e guarda il serpente e Dio gli dona la salvezza. Lo stesso accade per chi guarda verso il Figlio dell’uomo crocifisso. Teniamo presente che nel vangelo di Giovanni “guardare” equivale a “credere”. Chi crede in Gesù crocifisso è salvo.

3. Nella terza e quarta unità esplicativa si trova il fondamento di ciò che Gesù dice: Dio ama il mondo. Egli ama, cioè, tutti gli uomini, anche quelli che nutrono indifferenza verso Dio e avversità verso di Lui. Il libro della Sapienza, infatti, in pochi versetti esprime questo concetto teologico: “Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita” (Sap 11,23-26). Poiché Dio ama il mondo, il Figlio viene mandato non per condannare, ma per salvare il mondo.

4. Il Figlio non condanna: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno” (Gv 12,47-48). La condanna finale non la pronuncia Dio, ma l’uomo la pronuncia su se stesso rispecchiandosi davanti alla Parola di Gesù. Per salvarsi basta credere? Per la teologia giovannea, sì. Si tenga, però, presente quanto è già stato detto altre volte. Per Giovanni la fede è la scelta di mettersi in un cammino progressivo di imitazione di Gesù, per tutto ciò che la persona riesce. E per il resto? Ci pensa Dio. Nel testo biblico si legge una espressione strana: “Perché chiunque crede in lui non vada perduto”. Riprendendo il concetto di “perdita”, Gesù esplicita meglio la verità di fede e si assume la responsabilità ultima della salvezza per chi “crede” in Lui: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39).