Carlo e Piergiorgio

Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati domenica 7 settembre saranno riconosciuti insieme dalla Chiesa nella loro santità. Amici e modelli di vita per tutti, in particolare per i giovani e gli adolescenti cattolici di tutto il mondo. Ad accomunarli non sono solo la giovane età e la fede profonda dal sapore evangelico.

Pur vissuti quasi ad un secolo di distanza, colpiscono i numerosi punti di contatto tra le loro due (brevi) biografie

 Entrambi sono stati figli dell’alta borghesia. Pier Giorgio nasce Torino nel 1901. Il papà Alfredo è direttore e comproprietario del quotidiano La Stampa, la mamma valente pittrice. Carlo nasce a Londra nel 1991 e cresce a Milano. La famiglia è proprietaria della Vittoria Assicurazioni, papà Andrea uomo d’affari e mamma Antonia imprenditrice. Per entrambi i ragazzi ci sono tutti gli agi del momento, domestici in casa, scuole migliori, fede trasmessa in famiglia più forse per tradizione che per vera convinzione

Eppure entrambi, giovanissimi, restano affascinati dal Vangelo, si innamorano dell’Eucarestia, scoprono la forza irrinunciabile della preghiera. Carlo si impunta e ottiene di essere ammesso alla prima Comunione a soli sette anni. La Messa diventa per lui appuntamento possibilmente quotidiano. “Perché andare in pellegrinaggio in tanti luoghi lontani quando possiamo incontrare ogni giorno Gesù nell’Eucarestia?”, si chiede stupito davanti all’indifferenza di tanti verso la Messa. Anche Pier Giorgio, da giovane studente liceale come da universitario non manca l’appuntamento in chiesa, ama fermarsi a lungo in adorazione silenziosa, si fa terziario domenicano.

Ma non sta qui la loro santità. Qui c’è la fonte, la radice che l’alimenta, la causa nascosta.

Entrambi hanno tutt’altro che mani giunte e capo reclinato come santino. Come prima di loro fu per Francesco d’Assisi o Ignazio di Loyola, anche Carlo e Pier Giorgio amano la compagnia, le risate, la festa. Nessuna fuga dal mondo, dalla giovinezza, dal proprio tempo. Sorridenti, oggi diremmo “solari”, attirano attorno a sé compagnie di amici. Pier Giorgio scherzosamente fonda una “compagnia dei tipi loschi”; Carlo ama recitare, fare il buffone davanti alla telecamera, strappare sorrisi.

Entrambi amano le montagne, la natura e trascinano i coetanei in gite ed escursioni. Pier Giorgio si innamora di una ragazza, ma data l’umile estrazione sociale di questa, preferisce non palesare i suoi sentimenti per non creare contrasti in famiglia. Carlo è innamorato degli animali, dei suoi quattro cani e due gatti in particolare, inseparabili compagni di scorribande, soprattutto nelle campagne di Assisi dove passa le vacanze con la famiglia.

Entrambi vivono il proprio tempo. Carlo è affascinato dall’informatica e da internet; Pier Giorgio ama lo sport, la fotografia, il dibattito politico dei tormentati anni venti.

Ma sopra ogni cosa ad accomunare i due giovani, cosa che interroga molto le relative famiglie, è l’attenzione agli ultimi, la carità concreta verso i poveri. Pier Giorgio, rampollo dell’alta borghesia torinese, non dorme la notte al pensiero delle condizioni di vita dei proletari del suo tempo. “Aiutare i bisognosi è aiutare Gesù”, ripete come un mantra. Non solo fa la carità ai mendicanti destinando loro anche il suo biglietto del tram, ma spesso arriva a casa a piedi scalzi per aver regalato le proprie scarpe ad un povero incontrato lungo la strada, lo stesso fa col cappotto. Socio della San Vincenzo visita le abitazioni dei quartieri più poveri, portando alimenti, medicine, vestiario. Si decide per gli studi di ingegneria con uno scopo: poter migliorare la qualità della vita dei minatori. Non da meno, seppur più giovane e dunque con minore autonomia, è Carlo che ogni mattina, appena giunto a scuola, passa ad augurare la buona giornata ai bidelli (invisibili per la maggior parte dei suoi compagni) e alla sera obbliga il domestico indiano di famiglia ad accompagnarlo fuori per portare aiuti ai barboni che stanno sui marciapiedi della ricca e indifferente Milano. Aiutano chiunque, Carlo e Pier Giorgio, senza pensarci troppo; nessuno resta invisibile ai loro occhi.

Ad accomunarli vi è pure la morte, che coglie entrambi prematuramente e improvvisamente. Frassati muore il 4 luglio 1925 per una meningite virale fulminante; aveva 24 anni. Acutis lo porta via a solo 16 anni una leucemia, anch’essa fulminante; è il 12 ottobre 2006. Nulla lasciava presagire che sarebbero morti così presto. Il Cielo evidentemente era già aperto per loro.

Ai funerali di entrambi partecipa una folla inattesa: non solo parenti ed amici, ma tanti sconosciuti, di ogni estrazione sociale, tutti debitori di un sorriso, un aiuto, una speranza. Essere giovani, cristiani e santi: che missione bella e possibile.

Alessio Graziani

direttore de La Voce dei Berici