L’Ue compatta pro Ucraina

Ue compatta pro Kiev

Simonetta Venturin

Proprio nei giorni in cui Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, veniva messa in discussione dai conservatori, l’Ue si è trovata compatta come raramente capita nella politica delle scelte ordinarie. Divisa su tanto – dai vaccini alle politiche green -, la scorsa settimana si è invece mostrata pressoché ad una sola voce sul fronte del sostegno all’Ucraina.

Non sono sempre stati passi facili né unisonanti: dopo un iniziale massiccio sostegno morale ed economico, rafforzato dalle pagine tragiche che non si devono scordare della distruzione di Mariupol, delle fosse comuni di Bucha, del rapimento di migliaia di bambini ucraini da parte dei russi, la tentazione di cedere non è mancata nel corso di questi tre anni e quattro mesi di guerra, tanto più quando gli Usa, passati dalla guida Biden a quella Trump, hanno dimostrato di volersi sfilare dalla partita.

Un momento particolarmente critico porta la data del 28 febbraio scorso, quando Trump ha prima attaccato poi allontanato dalla Casa Bianca il presidente ucraino Zelensky. Per l’Ue era certo molto più facile sostenere la nazione attaccata accanto all’America piuttosto che da sola, mostrandosi sì capace di costanza e coerenza, ma al contempo consapevole che queste non possono limitarsi a parole d’appoggio e inviti a summit internazionali e che, per essere credibili, necessitano di concretizzarsi in massicci investimenti di risorse economiche per armi e altri aiuti, cosa che con la scure dei dazi che incombeva minacciosa – ed è ora arrivata – comporta equilibrismi spericolati.

Kiev è quindi risultata la cartina di tornasole della forza dell’Unione europea che, nel frattempo, ha anche approvato un piano di riarmo, discutibile ma in grado di mostrare a Trump come a Putin che per l’Europa la parola data resta: il sostegno si mantiene.

Sempre la scorsa settimana si è anche tenuta a Roma la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, mentre i bombardamenti russi si facevano crescenti e feroci. Dall’Eur è arrivato forte il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Non possono essere cinismo o indifferenza a guidare i comportamenti delle nazioni” parole architrave del principio: chi sostiene l’Ucraina attaccata sta dalla parte giusta. Le conclusioni del summit hanno visto l’Ue determinata ad attuare pro Kiev, una volta finita la guerra, una sorta di Piano Marshall: come gli americani sostennero l’Europa dopo la seconda guerra mondiale così ora sarà l’Europa a sostenere l’Ucraina nella ricostruzione del paese dilaniato. Sono stati presi circa duecento accordi, di cui quaranta italiani, che vanno dalla difesa al gas, per un valore di dieci miliardi di euro. L’Italia, in più, assumerà il patronato di Odessa, ne restaurerà il patrimonio culturale, la cattedrale della Trasfigurazione, il Museo delle Belle arti. Questo in virtù di una vicinanza speciale figlia del fatto che la città fu fondata nel 1794 dal napoletano Giuseppe De Ribas che rinominò Odesso il villaggio tartaro di Kahadijbev. Nell’Ottocento molti architetti italiani ne disegnarono i palazzi – oggi feriti dalla guerra -, mentre l’italiano figurava come lingua di uso comune per il commercio.

Sulla carta questo impegno dei paesi in pace a sostegno di un paese non Ue deliberatamente attaccato non può che essere un atto di giustizia e solidarietà, teso a far prevalere la civiltà del diritto su quella della forza bruta. Ma è impossibile distogliere lo sguardo dal susseguirsi di eventi contrastanti che la cronaca registra: la Conferenza per la ricostruzione contemporanea all’incattivirsi dei bombardamenti russi, le frasi spericolate di Trump – che minacciò prima di bombardare Mosca e oggi di imporle dazi al 100% – contrapposti all’impassibile fermezza di Putin nel perseguire il suo disegno a prescindere da sanzioni e appelli, la ritrovata coesione europea subito messa alla prova dalla scure dei dazi Usa al 30%.

Nel frattempo, la tragedia della guerra continua a colpire l’Ucraina e i suoi più fragili: i civili. Secondo gli ultimi dati forniti in occasione della stessa Conferenza di Roma da Save The Children, i bombardamenti feriscono il presente e compromettono il futuro della nazione anche colpendo le scuole: se nel 2023 ne sono andate distrutte 256, nel 2024 sono raddoppiate, 576, portando a circa 4.300 gli edifici scolastici colpiti dal febbraio 2022.

Tirare le somme non è facile: non resta che guardare a questa guerra da una parte con la concretezza delle cronache, dall’altra con tutta la forza possibile nel sostegno, senza mai abbandonare la speranza che qualcosa o qualcuno o una istituzione (Onu) trovi finalmente il modo di portare i contendenti a intraprendere un cammino di pace che, al momento, pare ancora lontano.