Card. Pizzaballa: Corpus Domini, “viviamo un tempo di fame reale e unita ad essa vi è la fame di giustizia, di verità, di dignità”

“Quando si parla di fame, in genere, siamo soliti pensare a popolazioni lontane da noi, a qualcosa di teorico. Mai avremmo pensato che ancora oggi, qui tra noi, fossimo costretti a parlare di fame come qualcosa di reale, che tocca la vita della nostra gente. Penso a Gaza, ovviamente, ma non solo. Alle tante situazioni di povertà che il conflitto ha creato, e che rende la vita di troppe famiglie estremamente dura”. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, celebrando questa mattina nella città santa la solennità del Corpus Domini. Commentando il brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il cardinale ha aggiunto: “Viviamo un tempo di fame reale, dunque. Ed unita ad essa vi è la fame di giustizia, di verità, di dignità. Anche queste ultime sembrano parole che appartengono a un mondo lontano dal nostro, che nulla hanno a che fare con la nostra vita reale”. Di fronte alla tragica situazione attuale, ha affermato il patriarca, “forse anche noi abbiamo la stessa tentazione dei discepoli: rinunciare, gettare la spugna, smettere di sperare e di credere che sia possibile placare la nostra fame, che qualcuno possa consolare il nostro cuore assetato di giustizia e dignità. Che questo conflitto non potrà mai cambiare la nostra vita. Che non esista per noi qui la possibilità di una vita dignitosa”. La risposta di Gesù ai discepoli, ha spiegato, “è chiara e indica ciò che dovrà caratterizzare la vita del cristiano in ogni tempo. Ed è quindi la risposta anche per noi oggi, anche per noi in Terra Santa: ‘Date voi stessi da mangiare’”, cioè diventare “persone che fanno dono di sé”. In un tempo di conflitti e guerre, questa risposta “è un invito alla nostra comunità ecclesiale a tradurre in vita ciò che celebriamo nell’Eucaristia. Significa sapersi fare dono, essere solidali l’uno con l’altro, continuare – nonostante tutto – a costruire relazioni, aprire orizzonti, dare fiducia, avere il coraggio di essere inclusivi, cioè di accogliere l’altro, quando invece tutto parla del contrario. Significa non rinunciare mai a sperare”. Dal patriarca anche un’esortazione a mettere l’Eucaristia al centro della comunità: “Uno dei problemi della nostra Chiesa oggi è proprio l’anonimità delle nostre comunità, più simili alla folla che ai gruppi di cinquanta stabiliti da Gesù. Non ci si conosce, e quindi nemmeno si può condividere la vita. Il Vangelo ci invita a dare un volto e un’identità chiara alle nostre comunità, che si costruiranno con la nostra familiarità con Cristo, più che con le nostre attività sociali o pastorali. Lì dove ci si arricchisce vicendevolmente con il poco che si ha, allora si fa esperienza di essere veramente ricchi, di essere nell’abbondanza, di avere più di quanto si osava sperare. Comunità formate dall’Eucaristia, saranno anche comunità ricche, dove non mancherà nulla e, nonostante la povertà dei mezzi, sapranno far risplendere la presenza di Dio, la nostra vera ricchezza”.