L'editoriale
Un mondo in attesa

I primi passi di papa Leone XIV hanno scaldato molti cuori, anche grazie alla sua prima parola pronunciata: “La pace”. Il vessillo più bello sotto la cui ala porre un pontificato, spendere una vita. La pace è pure la parola più attesa dal mondo, dilaniato com’è da guerre che si accendono feroci, specie contro i civili, e non sanno spegnersi più.
Le aspettative sono altissime e il papa lo sa: lo ha dimostrato scegliendo di presentarsi a milioni di persone proprio pronunciando quella prima parola. E’ una pace che tanta parte del mondo attende si incarni, si faccia quanto prima cronaca, voce di strillone: ora sa che questo è pure desiderio e impegno del papa.
La pace di Leone XIV è la pace annunciata dal Risorto, figlia della tribolazione, che diventa per chi crede speranza e conquista. E’ una pace “disarmata e disarmante, umile e perseverante”, implica quindi un cammino non arrendevole lungo la via, complessa e sincera, del cercato dialogo. E il papa si è già reso subito disponibile nelle intenzioni e nei primi contatti. Durante l’udienza ai partecipanti al giubileo delle Chiese orientali ha dichiarato: “Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo!” (14 maggio).
Sulla pace è tornato incontrando il Corpo diplomatico accreditato presso la santa sede (16 maggio), insistendo sul lavorio incessante che ciascuno è chiamato a fare “per sradicare le premesse di ogni conflitto e di ogni distruttiva volontà di conquista”. La prima delle tre parole guida che ha consegnato ai diplomatici è stata proprio la pace: una pace che coinvolge ciascuno, fin dal proprio cuore che deve nutrirsi della “sincera volontà di dialogo, animata dal desiderio di incontrarsi più che di scontrarsi”. Ha rimarcato che la pace si cerca convintamente, coralmente, come concerto di nazioni, per questo “è necessario ridare respiro alla diplomazia multilaterale e a quelle istituzioni internazionali che sono state volute e pensate anzitutto per porre rimedio alle contese”. Una pace – e questa è la seconda parola affidata al corpo diplomatico – che non può mai essere figlia delle ingiustizie: oggi le disparità sociali, dentro e fuori gli stati, sono generative di tensioni e conflitti. Disparità e ingiustizie che gravano così tanto da aver indirizzato il cardinale Prevost nella scelta del nome da pontefice, indirizzandolo verso quel Leone XIII che, chinandosi sulle sofferenze degli operai schiacciati dall’industrializzazione, era stato capace di dare il via alla dottrina sociale della chiesa. Così oggi Leone XIV ribadisce che tocca a chi ha responsabilità di governo “adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate”. Ma pace e giustizia hanno bisogno di un terzo pilastro: la verità, senza la quale non si possono costruire “relazioni veramente pacifiche, anche in seno alla Comunità internazionale”. La pace di Leone è dunque sì disarmata e disarmante ma non è poco esigente né tantomeno illusa.
Sulla pace è tornato nell’udienza di sabato 17 maggio: “Aiutiamoci gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace”.
E la pace non poteva mancare nell’omelia della messa di inizio pontificato, domenica 18 maggio, al cospetto dei capi di stato: “In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. Noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità…. E questa è la strada da fare insieme (…) per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace”. Nello stesso pomeriggio ha subito incontrato il presidente ucraino Zelensky e l’indomani J.D. Vance, vicepresidente Usa.
Nelle parole e nei fatti papa Leone XIV invoca la pace, tasta il terreno, lancia proposte, perché nulla resti intentato. Lo fa con un suo carisma di saldezza, accoglienza e trasparenza, precisando che “la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto” (16 maggio). Fino a che punto cercherà questa pace non possiamo sapere, ma siamo certi che lo farà, che lo sta già facendo, che ha appena cominciato.