Omelia del Vescovo Giuseppe Pellegrini in occasione del 30° anniversario della scomparsa di don Angelo Pandin

Carissimi tutti, in questa Eucarestia della II domenica di Quaresima, desideriamo ringraziare il Signore per il dono che ha fatto alla nostra Diocesi di un sacerdote come don Angelo Pandin, che lo ricordiamo nel giorno della sua morte avvenuta 30 anni fa.

Un santo prete tutto d’un pezzo, che visse quasi 36 anni del suo ministero sacerdotale qui a Borgomeduna come parroco, dando inizio alla comunità e alla costruzione della nuova chiesa, animando con tutto se stesso, con entusiasmo e con passione, il nascere e il crescere della nuova comunità cristiana, con lo spirito del Concilio Vaticano II che lui ha vissuto e accolto con gioia grande. Il Concilio aveva dato inizio ad una nuova modalità di essere e di sentirsi Chiesa, popolo di Dio in cammino sulle strade dell’umanità. Don Angelo fin da subito seguì queste indicazioni, cercando di innervare la comunità parrocchiale e i numerosi gruppi e persone che incontrava e che lo seguivano, invitando tutti ad aprirsi al Signore e a mettersi alla sua sequela, secondo quanto lo Spirito face comprendere, con lo stile dell’accoglienza e della prossimità, senza mai giudicare nessuno. Diciamo oggi, una Chiesa in uscita che non si chiude in se stessa; una chiesa dalle porte aperte che accoglie tutti senza pregiudizi; una chiesa che fa della Parola di Dio, della comunione e della vita fraterna le sue fondamenta. Nella pastorale don Angelo valorizzava sempre l’apporto dei laici nella loro spiritualità più profonda e non solo come aiutanti ma corresponsabili nella vita delle comunità. Ha sempre accolto le nuove forme e possibilità di annuncio e di testimonianza del Vangelo, come ‘Radio voce nel deserto’ che ha fondato e che tuttora è presente nel nostro territorio, con proposte di preghiera, di fede e di cultura, portando il messaggio di Gesù a tutti.

Ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio che don Angelo ha sempre messo al centro della sua spiritualità e della pastorale. Dieci anni fa, nel ventesimo anniversario della sua morte, don Basilio l’aveva definito uomo della Parola di Dio, nutrendosi lui stesso e diventando per gli altri Parola, con il suo modo di essere e di fare. Saliamo anche noi stasera, con Gesù, il monte della Trasfigurazione per pregustare, come hanno fatto i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, la bellezza e la gloria della Resurrezione; uno squarcio di cielo sulla terra. Sul monte, simbolo della vicinanza con il Padre, Gesù ha manifestato non solo se stesso come Figlio di Dio, ma ci ha rivelato la promessa per tutti alla vita eterna. Abituati i discepoli a vederlo quotidianamente nelle semplici sembianze della sua umanità, di fronte a quel nuovo splendore rimasero stupiti. L’evangelista Luca per ben due volte ricorda che “mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto” (8,29). È la preghiera che trasfigura il volto ed il cuore, facendo emergere l’identità più profonda di Gesù e anche la nostra identità. Nella preghiera, poi, Gesù e i discepoli udirono la voce del Padre che diceva: “Questo è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (v.35). Il fatto della Trasfigurazione è importante per Gesù ma anche per noi. Gesù stava vivendo un momento significativo della sua missione. Non tutti avevano accolto il suo progetto e la sua testimonianza. Anche i discepoli erano andati in crisi, dopo averlo sentito parlare della sua sofferenza e morte. Per prepararli a sopportare questo scandalo, fece vedere a loro nel Tabor la luce del suo volto luminoso e udire la voce del Padre. Ma la Trasfigurazione è importante anche per i discepoli e per noi. Nessuno arriva alla vita eterna se non seguendo Gesù e portando la propria croce. Questo lo si potrà scoprire nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio e nella contemplazione di Gesù luminoso che rischiara e dà senso al nostro cammino e alla nostra vita. Interessante la conclusione del racconto di Luca: “Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto” (v.36). Ecco quel che rimane a Gesù al termine della sua Trasfigurazione sul monte: restare solo se stesso, la sua realtà e la sua umanità. Per arrivare alla Resurrezione, Gesù deve vivere fino in fondo e sperimentare tutte le conseguenze della sua umanità.

Carissime e carissimi tutti, è il cammino che in questa Quaresima siamo invitati a percorrere. Rinnovare la nostra fede pasquale significa rinnovare ogni giorno le scelte fatte, riscoprendo la gioia e la bellezza di essere cristiani anche nel tempo di oggi. È un cristianesimo che si incarna nella nostra umanità e che vive nelle contraddizioni del presente, cercando di illuminare e dare un senso alla vita degli altri con la testimonianza della propria fede. Non possiamo fuggire davanti a Gesù solo, ma accettare che lui sia in noi, aiutandoci a scoprire in pienezza la nostra umanità, anche se non è sempre facile. Sono convinto, aiutato dalla testimonianza di tanti preti e persone che hanno conosciuto don Angelo, che pure lui abbia sperimentato questo e che, dopo 30 anni, sia la testimonianza che ci offre. Nella sua vita ha incontrato momenti di fatica e di sofferenza; anche lui ha dovuto spesso, come è successo a Gesù, rimanere solo e talvolta non sempre compreso. Ma in questo modo si è santificato, accogliendo il dono della vita nuova che Gesù gli aveva promesso, ricevendolo nel suo Regno di amore, di giustizia e di pace. Le caratteristiche, come ricordavo all’inizio, che hanno sostenuto la vita e la missione di don Angelo, l’accoglienza di tutti senza distinzione, la comunione e la fraternità, sono gli aspetti più belli e necessari anche della vita della Chiesa di oggi. Pensiamo alla cura che lui aveva per ogni persona nell’ascolto e nella direzione spirituale; alla guida di numerosi gruppi di preghiera e all’accoglienza dei nuovi movimenti che lo Spirito Santo aveva fatto fiorire dopo il Concilio. Ne è segno l’Associazione di fedeli ‘Il Seguito di Gesù’ iniziata da don Angelo e che oggi continua ancora, come prolungamento e testimonianza dell’importanza per ogni persona, consacrata o laica, di mettersi alla sequela del Signore per diventare segno nel mondo dell’amore e della misericordia di Dio. Nel cuore di Don Angelo c’era posto per tutti, proprio perché aveva un grande cuore come il cuore di Dio.

Possiamo anche noi tutti, sostenuti dalla testimonianza di vita di don Angelo e dal suo grande amore per la Beata Vergine Maria, essere nei nostri giorni, difficili e complessi, segno dell’amore del Padre e capaci di accogliere sempre ogni persona che desidera vivere in pienezza la vita e maturare il proprio cammino di fede.

                                                                       + Giuseppe Pellegrini, vescovo