Domenica 2 marzo, commento di don Renato De Zan

Lc 6,39-45

In quel tempo, Gesù 39 disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40 Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 41 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42 Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. 43 Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44 Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45 L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene

Il Testo

1. La pericope di Lc 6,39-45 fa parte degli insegnamenti conclusivi del discorso della “pianura” di Luca. Prima si legge l’insegnamento sulla misericordia (Lc 6,36-38) e poi si legge l’insegnamento sulla necessità di mettere in pratica la parola di Gesù. La Liturgia ha fatto diventare la pericope di Lc 6,39-45 la formula liturgica cancellando l’espressione iniziale “ loro anche” e inserendo un incipit corposo: “In quel tempo, Gesù (disse) ai suoi discepoli”, esplicitando il mittente e i destinatari, che nel testo originale sono solo sottintesi.

2. La formula liturgica è composta da tre insegnamenti che hanno la stessa struttura: prima c’è una massima proverbiale o sapienziale, seguita da una riflessione applicativa. Il primo insegnamento (Lc 6,39-40) ha la sua massima proverbiale in Lc 6,39 (“Può forse un cieco guidare un altro cieco?….”) e la sua riflessione applicativa in Lc 6,40. Il secondo insegnamento (Lc 6,41-42) ha la sua massima proverbiale in Lc 6,41-42c (“Perché guardi la pagliuzza che è nel tuo occhio….”) e la riflessione applicativa in Lc 6,42de. Infine, il terzo insegnamento (Lc 6,43-45) inizia con la massima sapienziale in Lc 6,43-44 (“Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo….”) e prosegue con la riflessione applicativa in Lc 6,45.

L’Esegesi

1. Iniziamo con due osservazioni filologiche. è bene ricordare che il vocabolo greco “parabolé” (parabola) traduce l’ebraico “mashàl” (= proverbio, indovinello, parabola, paragone, allegoria, paradosso, insegnamento sapienziale, ecc.). L’inizio del vangelo, perciò, si può tradurre “Gesù disse ai suoi discepoli un insegnamento sapienziale”. Una seconda breve osservazione riguarda il vocabolo greco “ypokritài” che non significa “bugiardi” – come si può pensare di norma -, ma nel greco ellenistico designava i personaggi della commedia. In bocca a Gesù gli “ypokritài” erano perciò i “commedianti (della fede)”.

2. Il primo insegnamento, probabilmente è rivolto contro i farisei, che Gesù – secondo Matteo (Mt 15,12-14) – chiama ciechi e guide di altri ciechi: “Allora i discepoli si avvicinarono per dirgli: «Sai che i farisei, a sentire questa parola, si sono scandalizzati?»….Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!»”. Nella riflessione, secondo alcuni biblisti, Gesù rimprovererebbe ai farisei la pretesa di voler essere superiori a Mosè stesso per la loro ossessione di sfornare leggi secondo la tradizione degli uomini. Secondo altri biblisti, invece, sarebbe una reprimenda che Luca fa con le parole di Gesù nei confronti di alcuni cristiani per la pretesa di voler precisare e completare gli insegnamenti del Maestro.

3. Anche il secondo insegnamento è probabilmente rivolto contro i farisei che Gesù – secondo Matteo -chiama “ipocriti” più e più volte (in Mt 23,13.15.23.25.27.29 per ben sei volte). Costoro sono dei “commedianti” perché trovano inezie negli altri e non riescono a comprendere i loro peccati più seri. Essi, infatti, “filtrano il moscerino e ingoiano il cammello” (cf Mt 23,24). Sono coloro che pagano “la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno” e trasgrediscono “le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà” (Mt 23,23). Vogliono apparire “giusti davanti alla gente”, ma dentro sono “pieni di ipocrisia e di iniquità” (Mt 23,28).

4. Il terzo insegnamento è rivolto a un pubblico più ampio e manifesta l’approvazione della coerenza tra l’essere e l’agire. Si tratta di un richiamo forte a “giudicare gli alberi dai frutti” e non dalle parole. L’immagine è tratta dall’Antico Testamento. Già Geremia diceva (Ger 17,10): “Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per dare a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni”. È un’eco di quanto predicava Isaia (Is 3,10): “Beato il giusto, perché avrà bene, mangerà il frutto delle sue opere”. Il testo di Lc 6,45, invece, non sembra appartenere al discorso della pianura, ma appare come un’aggiunta lucana tratta da Mt 12,33-35. Anche in questo caso, Gesù in polemica con i farisei (Mt 12,24), pone in parallelo l’albero “buono” (Mt 12,33) con l’uomo “buono” (Mt 12,35). Al centro (Mt 12,34) Gesù rimprovera i farisei con queste parole: “Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Sia in Matteo che in Luca c’è l’espressione “ciò che dal cuore sovrabbonda”.

Il Contesto celebrativo

Sia la prima lettura (Sir 27,4-7) sia la Colletta propria sviluppano il tema della parola come rivelatrice del cuore degli uomini, tralasciando il resto della ricchezza di Lc 6,39-45.