Attualità
Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia 2023
Sono cinque milioni e seicentomila le persone che vivono in assoluta povertà in Italia; vale a dire due milioni e 18 mila famiglie. Quasi un abitante su dieci. Questa è la situazione confermata dal ‘Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia’, intitolato ‘Tutto da perdere’, con i dati statistici relativi all’anno 2023 appena uscito
Sono cinque milioni e seicentomila le persone che vivono in assoluta povertà in Italia; vale a dire due milioni e 18 mila famiglie. Quasi un abitante su dieci. All’interno di questa situazione, ci sono un milione e duecento mila minori, che vivono in condizione di indigenza, costretti così a rinunciare a tante opportunità di crescita, di salute, di integrazione sociale, con un futuro compromesso in partenza, come sottolinea don Marco Pigniello, nuovo direttore Caritas Italia.
Questa situazione è confermata dal nuovo ‘Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia’, intitolato ‘Tutto da perdere’, con i dati statistici relativi all’anno 2023, uscito in questi giorni, attingendo all’Istat e interagendo con quelli forniti delle Caritas.
Non ci è di consolazione il fatto che questa situazione di povertà sia divenuta così diffusa in questi anni, da aver trasformato lo stesso linguaggio col quale gli organi d’informazione danno le notizie sull’argomento, scrivendo ad esempio di ‘democratizzazione della povertà’, per indicare che il fenomeno è così diffuso, che non si riesce a distinguerlo per gruppi sociali.
Grazie ai dati forniti dai servizi informatizzati della Caritas, presso i vari ‘Centri di ascolto’, nel 2022 si sono presentate 255 mila 975 persone, con relative famiglie; tra loro, il 45% dell’intero gruppo è costituito da ‘nuove famiglie’. Il dato fornisce la certezza che si sta instaurando una certa ‘continuità’ nel processo di impoverimento, con momenti di ‘normalità’, alternati a momenti di ‘difficoltà più accentuata’. Il tutto viene collegato alla ‘fragilità lavorativo-occupazionale’. Invocando la necessità di investire con continuità sulle ‘politiche di contrasto alla povertà’.
Federica De Lauso, sociologa, dell’Ufficio studi di Caritas Italia, ritiene che il ‘lavoro a tempo parziale’, così come il lavoro precario e quello a bassa retribuzione, contribuiscano a favorire alcune condizioni di povertà, che vengono ad accentuarsi maggiormente nel Sud Italia. Altro elemento che contribuisce ad accrescere il rischio della ‘povertà assoluta’ è dato dalla forte accelerazione dell’inflazione.
Per Walter Nanni, anch’egli sociologo e operatore di Caritas Italia, prezioso si rivela l’apporto dato dal servizio dei ‘Volontari Caritas’, nell’opera socio-assistenziale fornita dai Centri di ascolto. E anche per la capacità che i medesimi hanno, di far rifluire nella società civile e nelle famiglie i valori di impegno e di solidarietà che essi vivono nel servizio presso i succitati Centri d’ascolto. I volontari infatti, come linea di tendenza, nei decenni, si sono sempre più ‘professionalizzati’; sono inoltre cresciti numericamente e hanno acquisito maggiori responsabilità e ‘peso sociale’.
In una rilevazione del 2020, è emerso che erano impegnati in vari servizi forniti dai Centri di ascolto, ben 93 mila volontari, in grado di assumersi il 66.5% del totale delle risorse umane impegnate a far fronte alle varie povertà. Concretamente, mille settecento trentatrè servizi, erano erogati da una media di quattordici volontari, per ogni servizio assicurato: dall’accoglienza, alle mense, ai dormitori, al servizio docce, alla consegna di abiti, all’assistenza di pronto intervento alle stazioni ferroviarie e così via.
Oggi ai Volontari, nella lotta contro la povertà, si chiede una rinnovata presenza. Oltre ad offrire un aiuto concreto, anche quello di sollecitare l’impegno dello Stato italiano e di quanti operano nel ‘Terzo settore’, nel fare scelte adeguate ai tempi. Il loro impegno andrà rivolto a facilitare l’accesso alle misure pubbliche esistenti o a fare nuove scelte, integrandole con le risorse che sono in grado di erogare i vari Centri d’ascolto. Si tratta cioè di ‘lavorare in rete’, in dialogo coi ‘servizi territoriali esistenti’. Promuovendo anche una ‘analisi critica’, che faccia emergere la necessità di ‘nuovi servizi’ oggetto di attenzione da parte di tutta la società con le ‘politiche sociali’.
L’istruzione ad esempio continua ad essere uno dei fattori che maggiormente tutelano dal rischio ‘povertà’. Dal 2021 al 2022 si aggravano in particolare le condizioni delle famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (passando dall11.9 al 13%), ma anche i possessori della licenza di media inferiore (dall’11.1 al 12.5%). Al contrario, tra i nuclei ove il ‘capofamiglia’ ha almeno un titolo di scuola superiore, l’incidenza sulla povertà risulta molto più contenuta (4%) e non regista alcun inasprimento da un anno all’altro.
L’analisi dei bisogni registrati nel 2022, dimostra una prevalenza delle difficoltà di ordine materiale: povertà economica (reddito insufficiente o del tutto assente), problemi occupazionali (disoccupazione, precarietà, lavoro irregolare) e problemi abitativi (mancanza di casa, alloggi inadeguati). Alle difficoltà di tipo materiale seguono altre forme di fragilità, spesso associate alle prime. Si tratta soprattutto di problemi familiari (separazioni, divorzi, lutti, conflittualità di coppia) o di problemi di salute (disagio mentale, problemi oncologici, odontoiatrici); in tal senso si registra una forte crescita del disagio psicologico anche tra i giovani – ansia, depressione, attacchi di panico, psicosi.
La povertà e la deprivazione appaiono quindi fenomeni sempre più complessi e multidimensionali, condizionati da una molteplicità di fattori che non possono essere sempre riconducibili a questioni di ordine economico. Il tema della qualità del benessere e della deprivazione chiamano in causa tanti altri aspetti e dimensioni della vita umana, come ad esempio la salute, l’istruzione, le relazioni sociali, il lavoro e molto altro.
Le azioni intraprese dai 2.855 centri e servizi Caritas hanno riguardato per lo più la distribuzione di beni e servizi materiali: accesso alle mense o agli empori, la fornitura di cibo e pacchi spesa (sono stati quasi 2,5 milioni gli aiuti di questo tipo). Seguono le accoglienze (oltre 325mila), quindi la fornitura di alloggio, a breve e a lungo termine, le attività di ascolto (semplice o con discernimento), il sostegno socio-assistenziale (legato soprattutto all’accoglienza delle famiglie ucraine). Nell’anno record dell’inflazione e del ‘caro energia’ sono stati erogati oltre 86mila sussidi economici, a supporto del pagamento delle utenze e degli affitti.
Non sono poi mancate anche le forme di aiuto in ambito sanitario, che hanno riguardato per lo più visite mediche, cure odontoiatriche e distribuzione di farmaci. Rispetto a quest’ultimo punto, si cita l’articolo 32 della Costituzione, che riconosce la tutela della salute come diritto fondamentale per ciascun individuo; lo stesso articolo ispirò l’istituzione del ‘Sistema sanitario nazionale universale’ che garantisce il diritto alla cura a tutti, indistintamente dalle condizioni sociali ed economiche. Preoccupano a riguardo i tagli alla sanità, in un settore già assai carente, dove sembra rafforzarsi la tendenza alla privatizzazione, a discapito di tutti coloro che non possono garantirsi autonomamente le spese di cura e di prevenzione.
Ecco perché oggi al ‘Volontario Caritas’ si chiede una rinnovata presenza, che lo renda attento ad una vasta gamma di situazioni di fragilità e di farsi promotore di scelte assistenziali più ampie, oltre alla erogazione di aiuti concreti.
Leo Collin