Friuli Occidentale
Casarsa: domani si presenta il libro su Pasolini e Giovanna Marini
Si intitola “Il me paìs al è colòur smarit” il libro che venerdì 14 luglio alle 18 sarà presentato nel Centro Studi Pier Paolo Pasolini. Sarà presente l’autore Giandomenico Curi con il musicologo Valter Colle
Racconta il rapporto personale fra due persone straordinarie il libro “Il me paìs al è colòur smarit – Pier Paolo Pasolini e Giovanna Marini” (Besa Muci), scritto da Giandomenico Curi, che sarà presentato venerdì 14 luglio alle 18, al Centro studi Pasolini di Casarsa, dove l’autore dialogherà con Valter Colle, antropologo e musicologo, anche con il supporto di contributi video di Giovanna Marini.
Pagine intense, quelle del volume, che ripercorrono la storia del loro lungo incontro, in piccola parte avvenuto attraverso incontri reali, ma soprattutto attraverso la messa in musica dei testi di Pasolini da parte di Giovanna Marini, una fra le figure più importanti, in Italia, nello studio, nella ricerca e nell’esecuzione della tradizione musicale popolare.
Una storia nata dall’autentica folgorazione che l’artista romana ebbe per la musica popolare proprio grazie all’incontro con il regista e intellettuale friulano. Curi, autore radiofonico e televisivo, scrittore e regista, ripercorre i temi di quel rapporto che dalla fine degli anni 50 scorre ancora fino ad oggi, spesso in forma sotterranea, fra due figure che in maniera originale ed irripetibile hanno spesso saputo interpretare nel suono della parola e della musica il lungo presente delle tradizioni plurali di un’Italia in forte e definitiva trasformazione.
Un rapporto nato casualmente, il loro, che ha stimolato fin dall’inizio Giovanna Marini a una particolare attenzione al mondo rurale, della musica popolare, oltre ai temi e testi propriamente pasoliniani, sfociato nel 1976 nel “Lamento per la morte di Pasolini” e finito nel 2015 con l’ultima opera di Giovanna Marini, la più complessa e definitiva, ”Io sono Pasolini” Il filo rosso, sempre, la musica e la cultura popolare, come raccontarle, viverle, rinnovarle; e soprattutto l’Italia di Pasolini riletta in musica da Marini, tra tradizione e sperimentazione.
Giovanna Marini incontrò Pasolini nel febbraio del 1960, negli anni in cui era una giovane donna “ingenua e lontana, talmente impastata di musica e basta”, Incrociò il poeta intellettuale innamorato della canzone popolare in un attico di piazza di Spagna, a Roma, durante una festa in cui lei era stata chiamata a suonare Bach. Lui incominciò a stuzzicarla, le cantò “Bella ciao” che lei ancora non conosceva, le parlò della cultura orale, ignota ancora a lei, indottrinata dallo studio musicale classico, solo su rigorosi libroni. Come finì? Che la Marini, dopo un’iniziale difficoltà, cantò per lui un’antica ninna nanna di suo nonno per mostrare una preparazione meno ortodossa
«Pasolini – dice Giovanna Marini – è stato per me una grandissima sorpresa, un regalo della vita. Lui è stato il primo a mettermi sulle tracce della musica popolare. Prima di Bosio e di Leydi. Era una persona che quando parlava ti insegnava il mondo. Bisognava starlo a sentire. L’ultima volta che l’ho visto mi ha parlato dei Treni per Reggio Calabria, una ballata che amava molto, e della bellezza tenera del dialetto friulano. Pochi mesi dopo – prosegue Marini – la sua morte orribile ha distrutto i nostri sogni di collaborazione. Potevo solo piangerlo, ed è così che è nato il Lamento per la morte di Pasolini. Ma la sua assenza era insopportabile come la mancanza di un braccio. Allora ho cominciato a guardare il mondo, e a cantarlo, attraverso i suoi occhi. E lentamente ma inesorabilmente la sua voce ha invaso sempre di più la mia musica… è attraverso queste opere che mi sono inventato il mio Pasolini…»
Attraverso le molte opere che Giovanna Marini ha dedicato a Pier Paolo Pasolini, non è dunque difficile riconoscere una comunanza tematica e di linguaggio. Giandomenico Curi ha raccolto testimonianze, citazioni, testi, documenti sonori editi ed inediti per ricostruire un mosaico di memorie personali e storiche che disegnano il lacerato rapporto fra radici e trasformazione nell’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi.