Memoria di San Giorgio

La Festa patronale dalla parrocchia si estende in tutta la città

Il 23 aprile la chiesa celebra la memoria di san Giorgio, morto martire a Lydda, in Palestina, verso il 300. Sulla figura, nel tempo, si sono inseriti dei tratti, che rendono suggestivo il ricordo, simboleggiato dal combattimento contro il drago, che evoca le forze del male: i tanti mali che affliggono la società – virus compresi.Il santo esercita vari “patronati”, compreso quello sugli scout dell’Agesci, numerosi in diocesi. Varie anche le comunità che lo invocano come protettore, da Claut a San Giorgio al Tagliamento, da Teglio Veneto a Chions, da San Giorgio della Richinvelda a Porcia e Fontanafredda, come pure nella più popolosa parrocchia della città.La memoria. Domenica 26 aprile, III del tempo di pasqua, proprio nella chiesa di San Giorgio in Pordenone, il vescovo Pellegrini, alle 11 celebra la messa, senza concorso di fedeli, trasmessa sul canale televiviso Il13.L’evento ha offerto lo spunto a don Roberto Laurita, parroco della comunità di San Giorgio, per elaborare una riflessione – legata al tempo che stiamo vivendo e al martire – gentilmente messa a disposizione. Piace condividerla coi lettori.

Rileggere la situazione alla luce della fede

L’esperienza di smarrimento che stiamo vivendo – condivisa per il tempo di quaresima, impossibilitati a praticare comunitariamente i segni penitenziali e di fede, offerti dalla Chiesa, sino alla gioia di festeggiare il Risorto, a Pasqua – accomuna la nostra situazione, a quello del Popolo d’Israele, i Padri nella fede.“Qual’è stata l’esperienza di Israele quando si è trovato deportato a Babilonia, lontano migliaia di chilometri dalla sua terra e dal tempio di Gerusalemme, luogo della presenza di Dio? – si chiede il parroco. In quel frangente doloroso e drammatico gli ebrei hanno riscoperto il ruolo decisivo della Scrittura come mezzo per vivere la comunione con Dio e nutrire l’Alleanza con lui. Sono sorte in quel contesto le sinagoghe e la pratica della liturgia del sabato, che sostanzialmente è proclamazione e ascolto della Scrittura. Con questa risorsa gli ebrei di allora e quelli di oggi rendono salda la loro fede, condividendo una pregiera nutrita dalla Parola di Dio”.

Andare all’essenziale

Il testo prosegue col seguente invito. “Alla luce di queste considerazioni dobbiamo leggere tante espressioni, talora commoventi, di chi cercava le ceneri all’inizio della Quaresima o l’ulivo la domenica delle Palme: un segno di attaccamento alla tradizione; rivelavano un bisogno radicato nel tempo, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di una cornice: il quadro vero della fede è altro. La cornice ha un effetto benefico: dà risalto al quadro. Ma senza il quadro è ben poca cosa”.Prosegue: “Il credente attraversa, come tutti, il tempo della fragilità e anche dell’angoscia, della paura, dello scoraggiamento, del dubbio: una notte oscura. Ma il credente ha a disposizione qualcosa che lo aiuta ad affrontarla. Lo dice il versetto di un salmo, inciso sulla tomba del cardinal Martini: ‘Lampada ai miei passi, Signore, è la tua Parola, luce sul mio cammino’. Allora, come dice un canto di Taizé: ‘Questa notte non è più notte davanti a Te, il buio come luce risplende”.Soluzione: nutrirsi delle Scrittura. “Se vogliamo affrontare le emergenze della vita da battezzati, sostenuti dalla fede, non ci resta che attingere alla Scrittura. Non a scopo culturale, anch’esso pur degno, ma per intendere una Parola sempre viva, che cambia il nostro sguardo sulla realtà, sugli altri e su noi stessi. È lo stesso sguardo di Dio che porta la sua luce nella nostra notte”.

Lo sguardo di San Giorgio, patrono

Così conclude la riflessione: “Se le campane sono ancora mute, ora almeno San Giorgio troneggia dall’alto della torre campanaria che svetta al centro della città. Un San Giorgio ‘fante’ e non ‘cavaliere’, come viene solitamente dipinto. Quindi con i piedi ben piantati per terra, aderenti al suolo, alla storia e alle vicende degli uomini. Un San Giorgio ‘armato’ di lancia e spada, perché c’è una lotta da affrontare, un vero e proprio combattimento. Ma queste ‘armi’ non possono essere strumento di violenza, non hanno un ruolo offensivo. Lo si capisce subito, se si leggono quei passi dell’apostolo Paolo in cui utilizza un linguaggio ‘militare’: si tratta di ‘armi della luce’ e della ‘giustizia’, della ‘corazza della fede e della carità e dell’elmo della speranza’.Queste sono le vere armi del cristiano, che ci suggerisce il nostro San Giorgio: la sua festa ci invita a tenere i piedi ben piantati su questa storia e a lottare, con la fede, la speranza e la carità. Non cerchiamo nemici esterni: quelli più pericolosi ce li portiamo dentro: sono l’odio, la gelosia, l’avidità, il disprezzo degli altri, l’egoismo…Mentre difendiamo i nostri polmoni dal coronavirus, difendiamo anche il nostr