Domenica 9 luglio, commento di don Renato De Zan
Ha rivelato queste cose ai piccoli. Ma chi sono i piccoli? In greco c’è il termine “nepìois”, che significa “ai bambini”, un modo delicato per indicare i discepoli di Gesù. I “piccoli” sono i “mikròi”. L’uso del vocabolo “népios” è dovuto alla contrapposizione con coloro che avevano una competenza “accademica” della Legge
09.07.2023. 14° domenica del T.O. - A
Mt 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: 25 «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Hai rivelate queste cose ai piccoli
Il Testo
1. Una prima osservazione riguarda l’identità tra pericope biblica e formula liturgica del vangelo: sono identiche. Non c’è nessun ritocco della Liturgia. Una seconda osservazione riguarda il testo greco originale e la sua traduzione nel testo latino della Nova Vulgata (testo tipico della Liturgia): Il testo latino è un calco perfetto del testo greco: “In illo tempore respondens Iesus dixit: "Confiteor tibi, Pater,…”. Gesù a chi risponde? Ai discepoli del Battista (cf Mt 11,2-4)? Forse il testo è un po’ troppo distante. Potrebbe essere che il nostro brano appartenesse a una risposta di Gesù data (a chi?) in un altro contesto. Inoltre, il testo originale dice che Gesù sta facendo una confessione pubblica al Padre perché il Padre svela i misteri ai piccoli e non ai sapienti e ai dotti. La traduzione italiana ha tradotto la confessione in una lode (= ringraziamento).
2. La formula evangelica della traduzione italiana è composta da una preghiera di lode innalzata da Gesù al Padre (Mt 11,25-26). Segue un detto sapienziale di autorivelazione (Mt 11,27). Chiude la formula un testo di vocazione: Gesù chiama i suoi discepoli ad accogliere il suo giogo, dolce e leggero (Mt 11,28-30). Mentre la benedizione e la chiamata manifestano chiaramente i destinatari (il “Padre, Signore del cielo e della terra” e “voi che siete affaticati ed oppressi”), l’autorivelazione non si sa a chi sia indirizzata. Si può ipotizzare che possano essere gli stessi destinatari ai quali Gesù rivolge la chiamata a seguirlo. Stando così le cose, bisogna allora rilevare che l’autorivelazione e la chiamata sono strettamente congiunte.
L’Esegesi
1. Chi sono i piccoli? In greco c’è il termine “nepìois”, che significa “ai bambini”, un modo delicato per indicare i discepoli di Gesù. I “piccoli” sono i “mikròi”. L’uso del vocabolo “népios” è dovuto alla contrapposizione con coloro che avevano una competenza “accademica” della Legge (sapienti e dotti = sofòi, synetòi). Ciò significa che per essere discepoli bisogna essere ignoranti? Non è così. Il vangelo di Giovanni e le lettere di Paolo dimostrano che i loro autori sono persone di altissimo livello culturale. E, poi, si tenga presente che l’autore della lettera di Pietro dice si essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). Gesù indica con l’espressione “sapienti e dotti” le persone incapaci di comprendere che oltre alla loro conoscenza c’è ancora molto altro da imparare e comprendere.
2. Gesù ringrazia (“Ti rendo lode”) il Padre perché certe cose le ha rivelate (in greco c’è il verbo “apokalìpto”) ai “piccoli”. Lo stesso verbo (“apokalìpto”) viene adoperato da Gesù quando parla della conoscenza del Padre trasmessa a chi Egli vorrà. Chi può essere il depositario di tale rivelazione? Probabilmente gli stessi destinatari della rivelazione operata dal Padre, i “bambini”, cioè i discepoli. A costoro Gesù porge l’invito di andare a Lui per avere ristoro, per prendere il giogo dolce e leggero, per imparare da lui che è mite e umile di cuore. Cos’è il giogo a cui Gesù allude?
3. Nel mondo biblico la parola “giogo” ha diversi significati. Il primo e più comune è lo strumento con cui si sottomette un animale al traino del carro o dell’aratro. Un secondo significato riguarda il conquistatore che sottomette al “giogo” della schiavitù il vinto. Un terzo significato riguarda il mondo dei rabbini dell’epoca di Gesù. Essi ritenevano che il vero giogo fosse la Legge. Gesù invece dice che il suo giogo è “chrestòs” (utile, adatto, buono, benevolo, soave) e “elaphròs” (leggero, lieve, facile da gestire). Il giogo proposto da Gesù è Gesù stesso e la sua progressiva imitazione.
Il Contesto Liturgico
1. La formula della prima lettura (Zc 9,9-10) è tratta dall’opera del Deutero-Zaccaria, un profeta anonimo del sec. IV a.C. Egli non vede più il messia come un trionfatore militare e politico, ma come colui che annuncia e attua la pace. L’espressione di Gesù “sono mite e umile di cuore” è stata profeticamente anticipata dal Deutero-Zaccaria: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile…”.
2. Lo stesso tema ricompare nella petizione della Colletta propria: “Rendici miti e umili di cuore, a imitazione di Cristo tuo Figlio”. Anche il tema del “giogo” ricompare nell’amplificazione del fine della petizione, ma con un’interpretazione diversa da quella evangelica. Per l’eucologia il giogo non è Gesù e la sua imitazione, ma è quello della croce: “Portando con lui il giogo della croce…”.
3. Per un approfondimento: Fabris R., Matteo, Commenti biblici, Borla, 1982, 262-268; Gnilka J., Il vangelo di Matteo. Parte prima, Commentario teologico del N. T., Paideia, Brescia 1990, 627-642; Grasso S., Il vangelo di Matteo, Collana Biblica, Ed. Dehoniane, Roma 1995, 301-306; Luz U., Matteo 2, Commentario Paideia . Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2010, 253-286.
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