Domenica 11 febbraio: commento di don Renato De Zan
Gesù perdona, ridona la vita e manifesta la sua divinità
Mc 1,40-45
40 In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41 Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato! 42 E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43 E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44 e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45 Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Il Testo
1. La Liturgia aggiunge il solito incipit, “In quel tempo”, alla pericope biblica del vangelo (Mc 1,40-45) che è identica alla formula evangelica del Lezionario. L’intenzione di Marco era di collegare la guarigione del lebbroso all’opera salvifica di Gesù narrata in Mc 1,39: “E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni”. Poiché ogni malattia era presieduta da un demonio, la guarigione di un lebbroso faceva parte dell’opera esorcistica di Gesù: sottrarre al demonio il dominio sull’uomo. La Liturgia, invece, vuole togliere il testo alla logica dell’esorcismo ed evidenziare nel miracolo sia la divinità di Gesù, sia il perdono sia la restituzione della vita (simbolo della resurrezione). Il testo si può scandire in tre momenti narrativi. Il primo momento (Mc 1,40-42) narra il miracolo. Nel secondo (Mc 1,43-44) viene espresso il duplice comando di Gesù: non dire niente a nessuno e mostrarsi dal sacerdote secondo la Legge. Il terzo momento (Mc 1,45) presenta la disobbedienza del guarito e Gesù impedito di entrare pubblicamente in città.
2. Il testo presenta un problema di critica testuale e due apparenti contrasti. In alcuni manoscritti Gesù ebbe compassione (“splagchnìstheis” = commosso fino alle viscere) verso il lebbroso, mentre in altri Gesù visse un sentimento d’irritazione (“orghìstheis” = irritato) nei confronti della legge ebraica che trasforma un bisognoso di misericordia in un “reietto”. La prima variante è quella più antica e meglio attestata. Un contrasto forte si trova tra l’atteggiamento misericordioso di Gesù (“commosso fino alle viscere”) e il gesto duro con cui Gesù caccia il guarito accompagnato dall’ingiunzione di tacere (Mc 1,42-43). Questo atteggiamento si trova anche in Mt 9,30. Gesù non vuole essere conosciuto “per sentito dire”. Il secondo contrasto forte si trova tra l’ordine di tacere e l’ordine di mostrarsi al sacerdote per ricevere “il certificato” di guarigione attraverso il rito di purificazione prescritto da Mosè (Lv 14): mostrarsi al sacerdote era inevitabile per essere riammesso nel consesso civile e liturgico, dai quali il lebbroso era stato espulso.
L’Esegesi
1. Il lebbroso secondo le norme bibliche, era un “espulso” dalla società. Non poteva vivere che ai margini dell’agglomerato urbano, non poteva frequentare i luoghi di culto (sinagoga, tempio) e doveva avvertire, quando si avvicinava a qualcuno che egli era “impuro”. La guarigione corrisponde alla reintegrazione nei rapporti sociali e cultuali. Non solo. Poiché nel mondo biblico la malattia era vista come un castigo per i peccati, essere guariti equivaleva ad essere perdonati. Il miracolo che Gesù compie ha, dunque, diversi significati: è un atto terapeutico, è perdono, è reintegrazione nella dignità umana e nella dignità di credente. Gesù, perciò, è il Messia atteso che salva l’uomo in modo integrale (corpo, spirito, dignità, ecc.).
2. Nel mondo biblico la parola “immondo” o “impuro” non indicava qualche cosa di “sporco”, ma qualche cosa o qualcuno che era stato ampiamente contaminato dalla morte (cfr Lv 10,10; Gb 18,13). Tornare “mondo” o “puro”, dunque, equivaleva ad essere sottratto al potere della morte. Il lebbroso ha consapevolezza che è invaso dalla morte e chiede di esserne liberato. La guarigione del lebbroso, dunque, è da considerarsi una specie di resurrezione come una specie di resurrezione è stata la guarigione della suocera di Pietro (Mc 1,29-31: vangelo di domenica scorsa).
3. Se una persona impura tocca una persona pura, quest’ultima viene contaminata e diventa a sua volta impura. Se una persona impura tocca Dio o viene toccata da Lui, Dio non diventa impuro, ma la potenza vitale di Dio passa nella persona impura che diventa, di conseguenza, pura. Quanto detto può far comprendere l’importanza del gesto di Gesù: egli tocca il lebbroso (“Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò”) e non diventa impuro, bensì il lebbroso guarisce. Il miracolo, dunque, non è solo una guarigione, ma è anche una “resurrezione” (restituzione della vita) e una “teofania” (Gesù palesa la sua divinità).
Il Contesto Liturgico
1. Dal testo eclogadico (= scelto) della prima lettura, Lv 13,1-2.45-46, impariamo chi fosse il lebbroso nel mondo biblico: un impuro (uno invaso dalla morte prima di morire). La Colletta particolare invita i credenti ad avere lo stesso sentimento di Gesù: la compassione operosa. Nella petizione la comunità prega così: “Aiutaci a scorgere nel volto di chi soffre l’immagine stessa di Cristo, per testimoniare ai fratelli la tua misericordia”.
2. Per l’approfondimento: Focant C., Il vangelo secondo Marco, (Commenti e studi biblici) Cittadella Editrice, Assisi 2015, 115-121; Pesch R., Il vangelo di Marco. Parte seconda, (Commentario teologico del Nuovo Testamento, II.2), Paideia, Brescia 1982, 232-250; Standaert B., Marco. Vangelo di una notte, vangelo per la vita, (Testi e Commenti), EDB, Bologna 137-144; Yarbro Collins A., Marco. 2, (Commentario Paideia. Nuovo Testamento 2.2), Paideia, Torino 2013, 316-319.
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