Domenica 10 marzo, commento di don Renato De Zan
Dio ama il mondo degli uomini che vuole salvi
10.03.2024. 4° di Quaresima B
Gv 3,14-21
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: “14 come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21 Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
Il Testo
1. In Gv 3,1-21 si legge il lungo dialogo tra Gesù e Nicodemo. Si tratta di un testo che ha come tema la “nascita dall’alto”. Il testo è scandito dalle domande di Nicodemo. L’ultima domanda del capo dei farisei con la relativa risposta di Gesù si trovano in Gv 3,9-21. Da questa osservazione si comprende come la formula evangelica scelta dalla Liturgia sia in qualche modo una pericope monca (Gv 3,14-21) che costituisce la parte fina del dialogo tra Nicodemo e il Maestro. La formula evangelica è stata arricchita da un incipit liturgico ampio (“In quel tempo Gesù disse a Nicodemo”), sopprimendo la congiunzione “e” iniziale del testo originale.
2. La Liturgia concentra l’attenzione sul paragone che Gesù fa tra se stesso crocifisso-risorto e il serpente innalzato da Mosè nel deserto, durante l’esodo (Gv 3,14-15). Si ricordi che il verbo greco “upsoo” (innalzare) è usato da Giovanni per indicare la crocifissione (cf Gv 8,28; 12,32) ma anche la risurrezione e l’esaltazione (At 2,33; 5,31; cf Fil 2,9 = “upper-upsoo”). Dopo il paragone, Gesù fa seguire due motivazioni introdotte da “gar” (infatti, congiunzione di tipo esplicativo). La prima, riguarda la sicurezza del credente in Gesù: costui non andrà perduto perché ha già la vita eterna. Ciò è dovuto all’amore di Dio (non ai meriti dell’uomo). La seconda motivazione riguarda il progetto di Dio: Egli ha mandato il Figlio per salvare, non per giudicare (e condannare) il mondo degli uomini.
3. Nella ripresa del tema della fede (Gv 3,18) , Gesù presenta la ricchezza salvifica della fede stessa: chi crede è già salvo, chi non crede è già condannato. Perché chi non crede è condannato? La luce è simbolicamente la vita stessa di Dio. Il credente (= da non confondersi con chi è iscritto nel registro dei battesimi) l’accoglie, mentre il non-credente la rifiuta. La conseguenza è logica. Il credente opera secondo la verità che è dentro di lui, il non credente non opera allo stesso modo.
L’Esegesi
1. Il paragone illustrato da Gesù riguarda un avvenimento dell’Esodo (Nm 21,4-9). Gli Ebrei, morsicati dai serpenti, evitavano la morte guardando verso un serpente di rame, innalzato su un legno. Non bisogna dimenticare che nel vangelo di Giovanni “guardare” significa “credere”. Non si tratta di un atteggiamento magico-superstizioso, ma di una scelta che risponde a un piano divino. Cristo “deve” essere innalzato. Il verbo greco “dei” (bisogna: Gv 3,14) indica la volontà di Dio. L’uomo è chiamato a credere a questo Messia, che sa essere debole per amore e contemporaneamente forte per la salvezza dell’uomo.
2. “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato”. Chi sceglie di credere operosamente in Gesù ha il giudizio divino favorevole e positivo, già alle spalle. La sua vita sarà un operare come Gesù, sarà un “fare la verità”. Chi non sceglie di credere operosamente, purtroppo, ha già il giudizio negativo. La sua vita sarà un operare “malvagio”, non sarà un “fare la verità” e si manifesterà come figlio di colui che è menzognero fin da principio (Gv 8,44).
3. Di particolare importanza è l’espressione di Gv 3,16: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Il credente, dunque, non può perdersi. Questo tema Gesù lo riprende nella sua predicazione. In Gv 6,39 Gesù dirà: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno”. Dio si impegna a dare tutte le possibilità di salvezza prima che il credente termini la sua vita.
Il Contesto Liturgico
1. Nell’alto Medio-Evo, i penitenti che nel mercoledì delle ceneri avevano intrapreso il cammino di riconciliazione, avevano confessato i loro peccati al vescovo e avevano ricevuto la penitenza, oggi la sospendevano momentaneamente. Ancora oggi, questa domenica di sospensione della penitenza si chiama domenica “laetare” (= rallegrati). Il titolo viene preso dall’Antifona d’ingresso che suona così: “Rallegrati (“laetare”), Gerusalemme,......Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza”. Il cammino di conversione è giunto a metà del suo percorso e, per questo, la Liturgia annuncia che la salvezza offerta da Dio è a portata di mano di chiunque lo voglia.
2. Il testo eclogadico della prima lettura svolge il tema di Dio che non abbandona mai i suo popolo (2 Cr 36,14-16.19-23). La Colletta generale confessa l’opera redentrice di Dio come “mirabile” e percepisce ormai il clima della Pasqua. La Colletta particolare, invece, finalizza la preghiera verso un punto omega preciso: “rinnovati nello spirito, possiamo corrisponder al tuo amore di Padre”.
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