L'Editoriale
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Scrivere la storia sulla pelle dei più deboli

Domenica 29 settembre ricorre la 110ª Giornata del migrante e del rifugiato: un numero che la dice lunga sull’attenzione della chiesa ai popoli in cammino, frase che riecheggia il messaggio di papa Francesco per quest’anno. Una frase che dice molto su come la chiesa e la politica guardano alle migrazioni: se le due visioni appartenessero allo stesso volto non esiteremmo a definirlo uno sguardo strabico, perché divergenti sono visioni, intenti, finalità.

Scrivere la storia sulla pelle dei più deboli

Domenica 29 settembre ricorre la 110ª Giornata del migrante e del rifugiato: un numero che la dice lunga sull’attenzione della chiesa ai popoli in cammino, frase che riecheggia il messaggio di papa Francesco per quest’anno. Una frase che dice molto su come la chiesa e la politica guardano alle migrazioni: se le due visioni appartenessero allo stesso volto non esiteremmo a definirlo uno sguardo strabico, perché divergenti sono visioni, intenti, finalità.

Se l’uomo è sempre stato in cammino e migrante, è anche vero che finché si ha poco da condividere questo fenomeno sembra non suscitare grossi problemi: stati africani poveri accolgono milioni di profughi dagli stati vicini. Ma è quando i migranti arrivano, o cercano di arrivare, in società complesse, strutturate e decisamente più ricche come le nostre che la questione divampa.

Lo vediamo accadere sotto i nostri occhi da decenni. I paesi europei affacciati sul Mediterraneo sono alle prese con ondate di migranti da gestire: persone sempre meno desiderate, persone sempre più necessarie come sostengono, dati alla mano, economisti e demografi, che sottolineano quanto servirebbero per mantenere il nostro tenore di vita fondato su un’economia che deve correre veloce e un tessuto sociale pronto a consumare. Nella nostra Europa, Italia in prima linea, mancano lavoratori e manca popolazione: sono i frutti di una longeva denatalità e di un costante calo demografico. Eppure, le scelte politiche attuali vanno in direzione opposta alle necessità, come se fosse preferibile l’implosione del sistema piuttosto che convenire sulla necessità di una accoglienza, sia pure ovviamente ben studiata, regolamentata, sicura ma pure solidale e umana.

Come ha ben spiegato Stefano Allievi (professore di sociologia all’Università di Padova, specializzato nello studio dei fenomeni migratori) ad un incontro di Pordenonelegge organizzato in collaborazione con la Diocesi di Concordia-Pordenone, dovremo governare la questione migratoria come altre questioni complesse, la sanità o i trasporti, ovvero con pragmatismo, col bilancino dei bisogni reali, dei costi e benefici. Invece, la questione migrazioni è non solo guardata ma anche decisa alla luce della sola ideologia. Le ultime campagne elettorali lo dimostrano bene: dall’Italia al Regno Unito, dagli Usa alla Germania. E il pragmatismo perde.

A livello europeo, dopo anni di attesa, ad aprile 2024 è stato firmato il Patto sulla migrazione e asilo. <+cors>La Civiltà Cattolica <+tondo>(n. 4181 di settembre) lo commenta molto aspramente. L’intento era offrire agli stati membri un approccio comune globale al fenomeno migratorio, il risultato è di chiusura e delocalizzazione di quello che è sentito - e quindi reagito - solo come un problema. Nello specifico, la denuncia è che il patto mira essenzialmente al contenimento degli arrivi e per farlo gioca la carta dell’esternalizzazione della responsabilità di proteggere i rifugiati verso paesi terzi. I paesi terzi sono la Turchia, la Tunisia, l’Egitto, il Libano: non esemplari dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.

Nel nuovo patto momenti cruciali diventano le procedure di frontiera (controlli sanitari, di identità e sicurezza) a cui sono sottoposti i migranti appena arrivati prima di essere incanalati in percorsi di rimpatrio o di accoglienza. Il problema è da una parte la reale possibilità per chi arriva di dimostrare la sua condizione, dall’altra il fatto che nell’attesa i migranti vengono rinchiusi in centri che troppo spesso hanno poco dell’accoglienza civile. Se si considera che queste persone arrivano dopo viaggi tra deserto, percosse, furti e violenze dovremmo facilmente comprende in quale stato di fragilità anche psico fisica si possano trovare.

Questo comunque fa la politica, disegnando strade che poco incrociano quelle suggerite dai numerosi appelli di papa Francesco, miranti al rispetto della persona e della dignità umana. Lampante la distanza del patto europeo dai quattro verbi da lui indicati: accogliere, proteggere, promuovere e integrare; qui si va piuttosto a respingere, delegare, rimpatriare.

Le remore vengono dalla diversità culturale e religiosa, che innegabilmente c’è con certe popolazioni, ma anche dalla questione costi dell’accoglienza: ma, quando il nostro sistema economico constaterà di non potersi reggersi senza una adeguata forza lavoro, probabilmente diverrà più chiaro che sarebbe stato conveniente pianificare razionalmente la questione piuttosto che reagire emotivamente.

Come ha scritto papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”: "La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia" (FT 116). Non scriviamola sulla pelle dei più deboli.

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