Quagliotto: “Conserverò un buon ricordo di Pordenone e la sua gente”

Il dott. Alberto Quagliotto si è ufficialmente accomiatato dalla Casa Circondariale di Pordenone, che ha diretto per oltre dodici anni. 

Nello scorso mese di luglio il dott. Alberto Quagliotto si è ufficialmente accomiatato dalla Casa Circondariale di Pordenone, che ha diretto per oltre dodici anni. Ovviamente il saluto di congedo è stato esteso alle autorità del territorio e in particolare al Vescovo mons. Pellegrini il quale, in occasione di una sua visita al Castello, è stato ministro del Battesimo a un detenuto, mentre è stato padrino il direttore stesso.Da nuovo direttore, ricorda, era arrivato da noi con il fervore tipico di un nuovo incarico, dopo un importante periodo di esperienza trascorso a Treviso. Si trattava di una responsabilità a tutto campo, sorretta tuttavia dal fatto che Pordenone gli offriva il sostegno di una apertura rassicurante e gli facilitava pertanto l’inserimento nel tessuto sociale per lo svolgimento di un servizio molto impegnativo.E’ noto che fin dagli inizi il dott. Quagliotto ha inteso valorizzare il rapporto di grande dialogo e collaborazione con le Istituzioni locali e territoriali, che è andato crescendo nel tempo. E questo in vista di una dinamica di integrazione del carcere nella città, in una prospettiva mai sperimentata prima. Questa costante opera di dialogo con il territorio gli ha consentito di individuare contenuti di valore, così da trasferire linfa vitale all’interno della struttura; lo ha sostenuto nel suo ruolo vissuto con passione e con viva attenzione all’umanità ferita con la quale conviveva ogni giorno. Erano spesso intensi colloqui personali che si dilatavano ben oltre gli orari di servizio.Su questi temi, merita un riconoscimento la comunità di Pordenone, presente e sensibile sul piano del volontariato, in particolare per merito dell’esempio trainante del cappellano don Piergiorgio Rigolo.Per quanto riguarda il piano di rieducazione dei detenuti, il dott. Quagliotto spiega che “a Pordenone sono accolte persone ’protette’, che hanno a loro carico gravi reati nei confronti della dignità della persona e pertanto sono inserite in circuiti riservati. Non è facile progettare e realizzare interventi specificamente destinati a coloro che non solo hanno violato la legge ma anche i principi dell’etica e della morale, attinenti al rispetto della persona”.La maggior parte delle volte questi abusanti sono stati a loro volta vittime di abusi e portano ferite non facili da sanare; pertanto richiedono capacità di lettura del loro vissuto, per poter calibrare interventi finalizzati alla ricostruzione della loro identità e dei loro valori e ancor prima alla costruzione della sfera dell’autoconsapevolezza. “Qui entra in gioco l’antropologia cristiana nella declinazione tomista alla quale io mi ispiro profondamente. In certe situazioni si configura la notevole complessità della persona umana, l’imperscrutabilità della sua psiche, tanto da far ripensare alla sua essenza più profonda: quella del libero arbitrio. E’ indiscutibile la responsabilità penale, ma ciò che conta è portare il detenuto a riconoscere la differenza tra il bene e il male: un traguardo imprescindibile”.La ricostruzione del mondo interiore costituisce la parte più significativa dell’intervento di rieducazione. Il carcere non è risolutivo, ma può essere il momento di una ripartenza. A volte i risultati, per quanto sia possibile verificarli, sono talmente significativi da cambiare totalmente la vita di alcune delle persone prese in carico.”Sono traguardi di notevole rilievo che in qualche caso mi sono stati comunicati da parte degli stessi ex detenuti in missive inviatemi dopo la scarcerazione: semplici ma significative parole di grazie, anche solo per i momenti di ascolto. Le devianze in questione riguardano persone di tutte le età, ma in tutti i casi emerge l’importanza educativa, naturale e fondamentale, della famiglia”.Il dott. Quagliotto si congeda con un pensiero dedicato in particolare ai lettori de Il Popolo e a tutta la cittadinanza: “Per quanto riguarda Pordenone, porto con me il desiderio di mantenere contatti con questa città della quale conservo i valori della schiettezza, linearità, sobrietà… quasi d’altri tempi. In questo clima sono state facilitate le relazioni e la collaborazione per cui resterà viva e profonda la mia gratitudine”.Flavia Sacilotto