Domenica 15 settembre, doppia ordinazione diaconale in San Marco di Pordenone

Omelia del Vescovo Pellegrini per l'ordinazione di due nuovi diaconi. Essi sono: Riccardo Mior, di anni 25, originario di Tamai e prossimo al servizio presso la parrocchia di Fanna, e Marco Puiatti di 27 anni di Azzano Decimo in servizio presso la parrocchia di Spilimbergo.

Le letture della Parola di Dio di oggi ci introducono all’Ordinazione diaconale di Riccardo e di Marco, al significato che questa scelta ha per loro e al dono che il Signore Gesù fa alla Chiesa e alla nostra diocesi. Ringraziamo il Signore per questi doni e preghiamo perché continui ad assistere le nostre comunità.Centrale nel Vangelo di Marco è la domanda che Gesù pone ai discepoli: “Ma voi chi dite che io sia?” (8,29). Non solo perché si trova esattamente a metà della narrazione, ma perché siamo ad una svolta radicale della vita di Gesù che dal Nord di Israele, a Cesarea di Filippo, terra pagana, si mette in cammino per dare compimento alla sua vita terrena a Gerusalemme. Gesù non si accontenta di quello che dice la gente, di una fede per sentito dire, perché è necessaria una frequentazione assidua e una prossimità vitale alla sua persona. Questo interrogativo personale è preceduto da ‘Ma voi’, per ricordare quel voi che avete abbandonato tutto per seguirmi, voi che siete stati con me per alcuni anni, voi che siete miei amici … chi sono io per voi, chi sono io per te? Penso al significato che ha questa domanda per gli ordinandi Riccardo e Marco. Chi sono io per te? Non cercatela nei libri o nelle dispense che avete studiato, né negli articoli appena usciti su Gesù, ma cercatela con delicatezza dentro di voi, nel profondo del vostro cuore, perché è una domanda che nasce dal cuore, somigliando alla domanda che si fanno due innamorati: chi sono io per te, quanto posto ho nella tua vita, quanto conto? Gesù è consapevole che la scelta che sta compiendo è difficile e fa questa domanda all’inizio del cammino verso Gerusalemme perché la posta in gioco è molto grande, sollecitando i discepoli a riflettere sulla loro esistenza e sulle ragioni della loro sequela. La domanda, meglio le domande, che Gesù formula non sono per mettere le persone con le spalle al muro né per constatare quanto la gente e i discepoli hanno compreso la sua missione, ma per rendersi conto del rapporto e della relazione personale che c’è con lui, quanto sono consapevoli della sequela, del mettersi dietro a lui, camminando sulla strada che lui percorre. È proprio questa domanda che da inizio a quel lungo cammino dove i discepoli sono chiamati a prendere posizione sulla sua identità e a seguirlo sulla strada che porta alla croce. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16,24). Il progetto è unico ma ognuno è chiamato a percorre la propria strada con libertà e creatività, nella sequela dell’unico maestro.La risposta iniziale di Pietro è precisa, senza sfumature e incertezze: “Tu sei il Cristo” (v.29), cioè il Messia, il consacrato e l’unto di Dio, mandato a salvare il suo popolo. Ma alla ripresa di Gesù che indica i tratti e la modalità del Messia, ben diversi da quelli che pensavano i discepoli: “Il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato …Omelia XXV Domenica T.O. e Ordinazioni Diaconali 2 di 2venire ucciso e dopo tre giorni risorgere” (v.31), la scena cambia rapidamente. Nel momento in cui i discepoli credono di aver compreso qualcosa in più su Gesù, ecco che si sentono dire parole scioccanti e incomprensibili: “Va’ dietro a me Satana! Perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini” (v.33). Non bastano solo delle parole per credere in Gesù ma seguirlo con tutto se stessi sulla stessa strada: la strada della croce e dell’amore. Ce lo ha ricordato anche san Giacomo nella seconda lettura che la fede “se non è seguita dalle opere, in se stesso è morta” (2,17). Per credere non è necessario sapere tante cose su Gesù, perché Gesù non ci ha insegnato una filosofia di vita ma ci ha mostrato la via che conduce alla vita; e questa via è l’amore. Il posto del discepolo è sempre un passo indietro a Gesù per seguire il suo cammino, smettendo di pensare solo a se stessi e per dire dei ‘si’ a un orizzonte più grande, entrando nella logica del dono di sé per amore.Carissimi Riccardo e Marco, alla domanda che Gesù ha fatto anche a voi, chi sono io per te, state rispondendo con una scelta precisa di vita: il diaconato e, a Dio piacendo, fra un anno il presbiterato, configurando così tutta la vostra vita a Cristo. Per comprendere meglio il ministero del diaconato, primo grado dell’Ordine, papa Francesco, invitata i diaconi a ritornare al Concilio Vaticano II, in particolare al decreto della Lumen Gentium che dopo ave descritto la funzione dei presbiteri come partecipazione alla funzione sacerdotale di Cristo, illustra il ministero dei diaconi, “ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio” (n.29). Questa affermazione non è di poco conto perché vede il diaconato non solo come passaggio ma con una ministerialità propria: il servizio, che è l’essenza stessa della Chiesa che non è fatta per comandare ma per servire. “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,45). Il diacono nella Chiesa ha proprio questo compito e ministero specifico: mettersi a servizio e fare del servizio lo stile della Chiesa e di ogni credente. Ecco perché il papa ci ricorda che il diaconato è il primo grado dell’ordine e anche coloro che sono chiamati ad essere preti e vescovi non si devono mai dimenticare di essere diaconi, perché il servizio è il primo e rimane per sempre. I diaconi sono i custodi del servizio nella Chiesa.Per voi cari ordinandi questa tappa riveste pure un significato relativo alla maturazione della vostra umanità, arrivando ad una sana integrazione psico-spirituale e imparando a donare e a ricevere, riconoscendo che siete idonei ad assumere il ministero dell’Odine, nella piena maturità della vostra umanità e affettività. Nella Chiesa latina con il diaconato si accoglie come dono di vivere responsabilmente la castità nel celibato. Non è una pura indicazione di maturità affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità operante nel celibato è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Un amore che vuole possedere è sempre pericoloso perché imprigiona, soffoca e rende infelici.A voi carissimi giovani presenti, non abbiate paura di fare scelte che vanno anche controcorrente. Una vita celibe può rendere il cuore libero per amare ancora di più Dio e l’umanità, con lo stile di Gesù che si è donato fino in fondo per noi.Oggi la liturgia ricorda la memoria della Beata Vergine Maria Addolorata. Affidiamo alla sua intercessione Riccardo e Marco, nella certezza che mediante l’intima unione della Madre al figlio Gesù la sua maternità si estenda a tutta l’umanità redenta da Cristo sulla croce. Giuseppe Pellegrini Vescovo