Diocesi
Venerdì santo: il vescovo in concattedrale
Oggi siamo chiamati a sostare in silenzioso raccoglimento davanti all’amore di Dio che per liberarci dal peccato e dalla morte ci ha donato il suo Figlio morto in croce per noi. La croce è pertanto la sintesi della nostra fede e la fonte della nostra speranza. Essa ci dice che nel mondo c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati.
Oggi siamo chiamati a sostare in silenzioso raccoglimento davanti all’amore di Dio che per liberarci dal peccato e dalla morte ci ha donato il suo Figlio morto in croce per noi. La croce è pertanto la sintesi della nostra fede e la fonte della nostra speranza. Essa ci dice che nel mondo c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati.
Nell’azione liturgica dalla Passione del Signore, la Chiesa si spoglia di ogni ornamento e si prostra a terra adorando il suo Signore in croce. Tutto tace e tutto è silenzio attorno a noi. Purtroppo, in questo tempo difficile e faticoso, il silenzio è rotto dalle tante grida di dolore che si elevano al cielo dai tantissimi sofferenti della storia. Un silenzio squarciato in tante parti del mondo e anche vicino a noi, in Ucraina, dalle sirene, dal boato delle bombe e dalle raffiche delle armi che uccidono migliaia di persone e che distruggono città e paesi. Mai abbiamo vissuto un Venerdì santo così doloro e amaro. Riecheggiamo dentro di noi le dure parole di papa Francesco nell’Angelus del 13 marzo 2022: “Questa settimana la città di Mariupol, è diventata una città martire della guerra straziante che sta devastando l’Ucraina. Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri. Col dolore nel cuore unisco la mia voce a quella della gente comune, che implora la fine della guerra. In nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi”.
Spesso si definisce la morte in croce di Gesù una dei più grandi paradossi della storia. Quell’uomo sulla croce, coperto di sputi e di sangue è in realtà il vincitore. Il momento della sua apparente sconfitta è il momento della sua vittoria definitiva, che appare evidente nella Risurrezione. È significativo, secondo l’evangelista Giovanni, il grido finale di Gesù sulla croce: “È compiuto!” (19,30), che gli permette di reclinare il capo e di consegnare lo spirito. In questo modo Gesù porta a compimento la missione che il Padre gli ha affidato: servo e Figlio obbediente al Padre, accogliendo e accettando fino in fondo la sua volontà. Gesù non è stato trascinato alla morte o costretto dagli eventi o dai suoi nemici, ma volontariamente ha portato a compimento il progetto di Dio: salvare l’umanità, attraverso il dono di sé sulla croce. È il compimento della volontà del Padre, del e nel Figlio che ci consegna lo Spirito Santo. Solo Gesù ha potuto dire tutto è compiuto, perché come suo Figlio ha accolto e compiuto in pienezza il progetto di salvezza dell’umanità del Padre. A noi il compito di realizzare quello che Dio ci affida; al Padre compiere il progetto di amare per sempre l’umanità in Cristo, suo Figlio.
Il momento centrale della liturgia della Passione è l’adorazione e la contemplazione della croce, segno eloquente dell’amore senza misura; amore che vince il peccato e la morte. La croce ci parla di una vita perduta per amore che fa sbocciare una vita nuova; di “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Giovanni, 3,16). Gesù non ha vinto con la forza delle armi, né si impone con la violenza o con la prepotenza. La sua forza è l’amore gratuito. L’evangelista Giovanni vede nella croce la glorificazione di Gesù che glorifica il Padre, perché ci ama di amore infinito. Con la croce siamo stati liberati dalla schiavitù di noi stessi, del nostro io, delle nostre resistenze e delle nostre chiusure. L’amore di Gesù è un amore che ci rinnova, che ci rende capaci di amare e che ci fa sperimentare la gioia di una vita donata agli altri.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo