Attualità
Vajont 60°: il racconto di Bianca Borsatti clautiana che insegnò a San Martino di Erto
"Quando successe avevo 22 anni e lo ricordo benissimo. Avevo avuto una supplenza a S. Martino di Erto che terminava proprio il 9 ottobre. Nel pomeriggio ero rientrata a Claut. Mi dava il cambio un’insegnante di Sacile, Ida Ceschel, che arrivò a Erto il 9 ottobre. Per me la fine della supplenza è stata la vita, per lei purtroppo è stato l’incontro con la morte.
Abbiamo incontrato a Claut, Bianca Borsatti Chinese, in una splendida giornata di settembre: si avvicina il 60° anniversario del Vajont, che per lei è molto più di una data da ricordare.Bianca è radicata nel suo territorio che ama tantissimo, qui è vissuta e vive, ha insegnato nelle scuole elementari, si è sposata (dopo 33 anni è andata in pensione per assistere il marito), ha avuto tre figli e ora gode di 6 nipoti. Bianca scrive poesie nella parlata locale con versi spontanei che parlano di lavoro e di donne, di emigrazione e di stagioni, di vita e di morte, con profonda malinconia. Ha pubblicato alcuni libretti, ha curato con Renzo Peressini, il Vocabolario della lingua clautana, ha vinto premi di poesia, tra cui il Malattia della Vallata, sue poesie sono inserite in varie antologie. Sua sorella Teresa Borsatti, è stata la fondatrice assieme al parroco don Luigi Stefanutto del Museo della Casa Clautana dedicato alla donna, di cui è stata per molti anni curatrice.Chiediamo a Bianca che ricordi ha del disastro del Vajont e di quei giorni tragici.”Quando successe avevo 22 anni e lo ricordo benissimo. Avevo avuto una supplenza a S. Martino di Erto che terminava proprio il 9 ottobre. Nel pomeriggio ero rientrata a Claut. Mi dava il cambio un’insegnante di Sacile, Ida Ceschel, che arrivò a Erto il 9 ottobre. Per me la fine della supplenza è stata la vita, per lei purtroppo è stato l’incontro con la morte.Ricordo che anche mio fratello era passato per Erto poco prima della frana, arrivava da Belluno.Il mattino del 10 ottobre mia mamma è venuta a svegliarmi gridando: -E’ venuta giù la diga, Longarone è sparita!- Queste erano le prime voci sparse in paese, poi arrivarono le notizie vere, quelle della frana del monte Toc e fu ancora più incredulità, dolore, rabbia.Di Erto conoscevamo tante persone anche se non avevamo familiari che vivessero lì.Claut ha accolto subito i superstiti. Noi allora gestivamo l’albergo ristorante “Lo Scarpone” e abbiamo ospitato molte persone (le spese ci furono poi rimborsate dalla Regione, mi pare). Li ricordo seduti in osteria, molti purtroppo bevevano per abitudine ma più spesso per disperazione. Era gente forte, dura, ma quella tremenda tragedia li aveva segnati.In seguito, per ospitare gli sfollati, è stato costruito con prefabbricati il Villaggio Vajont, all’inizio del paese. Queste abitazioni sono state nel tempo abbandonate e poi demolite anni fa.Alcuni dei superstiti sono tornati nelle loro case a Erto (quelle salvate dall’onda), altri si sono fermati a Claut, altri si sono trasferiti a Longarone o al nuovo villaggio Vajont di Maniago, o nei prefabbricati della Roiatta, a S. Quirino. Per quella gente è stata un vera diaspora, bisognava ricominciare a vivere pur con la morte nel cuore”.Chiudiamo l’incontro con la poesia Vaiont, scritta il 9 ottobre 2010, che ben descrive le conseguenze di quella tragedia e che Bianca ci legge nella sua parlata. Per maggior comprensione, ne diamo la versione italiana della stessa Bianca
BAMBINIDEL VAJONTBambini del Vaiont /rimasti soli /con gli occhi sbarrati/i piedi scalzi/sugli argini della morte./ E vedere buio/ed attendere giorni vuoti/ in case vuote/senza più giochi/ senza più passatempi./ Giovani del Vaiont/cresciuti nelle “nevere”/in cimiteri /carichi di croci/a masticar preghiere/ad urlare imprecazioni. Gente del Vaiont/dispersa pel mondo/vivere case/ su aree forestiere/Ritornare /a calpestare impronte/a rimuovere zolle/a sgocciolare lacrime
Violetta Magris