Attualità
La senatrice Segre agli studenti: “Capii che non avevo fatto il mio dovere di testimone”
La Segre ha parlato a Milano a duemila studenti, lunedì 20 gennaio. Ma grazie alla associazione "I bambini della Shoah", grazie a un ponte web del Corriere della Sera e grazie, per Pordenone, ad Aladura che ne ha ottenuto la trasmissione dal Verdi, sono stati in tanti ad ascoltare come dal vero la testimonianza incredibile della senatrice sopravvissuta ad Aushwitz
Una voce contro l’oblio: quella di Liliana Segre resterà indelebile per i duemila ragazzi che l’hanno ascoltata, lunedì 20 gennaio al teatro degli Arcimboldi di Milano e gli innumerevoli che, dalle classi ai teatri d’Italia (tra cui anche il Verdi di Pordenone), l’hanno seguita grazie alla diretta resa possibile dal Corriere della Sera e sostenuta dal Ministero della Istruzione.Ha avuto parole indelebili in un racconto lungo quasi un paio d’ore, volate – agli Arcimboldi come al Verdi – in un silenzio totale.Il racconto della sua esperienza di vita è noto a molti, ma non la sua capacità di trasmettere quanto è stato. Vi è arrivata tardi, come a Pordenone ha spiegato nell’introduzione alla mattinata Stefano Bortolus, alla guida di Aladura, che si è fatto tramite dell’evento, regalando a molte classi la possibilità di assaporarlo dal mega schermo del teatro cittadino. Un racconto scaturito da un senso del dovere che la senatrice Segre ha sentito potente in sè quasi cinquanta anni dopo Auschwitz. Dopo una vita di moglie e madre e dopo una brutta depressione: “Capii che non avevo fatto il mio dovere di testimone” (come scrive anche Enrico Mentana in: “La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambian nella Shoah” edito da Bur).Sentendo il tempo scivolare via e captando intorno a sè il risveglio di echi antisemiti e violenti ha sentito che non solo poteva ma doveva parlare. Non si è più fermata e l’ascolto dell’intervento di lunedì 20 gennaio andrebbe inserito nei programmi scolastici per l’autorevolezza e l’efficacia del suo dire di testimone.Un dire che a volte è scivolato senza indugiare in dettagli ed altre non ha risparmiato la crudezza della realtà che la obbligarono a vivere per l’unica colpa di essere nata ebrea. Due ore per scoprire come Liliana bambina a modo, di una famiglia della media borghesia milanese, fu allontanata da scuola nell’indifferenza (le cinque sillabe che spiegano tutto) immediata di maestra e compagne: “Divenni per tutti quella che sono anche oggi per molti: la Segre, quella ebrea”.Ecco i tentativi di nascondersi e la fuga in Svizzera col padre: “Noi inadeguati, in abiti borghesi e scarpe di cuoio in montagna – ha raccontato – con una valigia improvvisata, ingombrante, inutile”. Poi l’arrivo oltre confine, la gioia ingenua per avercela fatta presto sgretolata dalla durezza della guardia tedesca che non credendoli in pericolo li rispedì in Italia. Non fecero in tempo a voltarsi che furono catturati: passarono più prigioni, poi arrivò anche per loro il treno: “Destinazione ignota”.Iniziò da lì l’abisso delle umiliazioni: il secchio del vagone merci, la nudità e la rasatura dell’arrivo, la ricerca del padre che – le dissero – era già passato per il camino. E quindi la solitudine totale di una tredicenne in campo di concentramento, senza affetti, senza sguardi amorevoli di un padre che la chiamava tesoro. Dopo dieci giorni “Divenni una lupa affamata ed egoista”. Quando stridenti queste parole, ripetute più e più volte, da una senatrice, da una signora gentile e a modo sulla soglia dei novanta anni. E quella brutalità del campo che ancora si fa brutalità d’espressione. Il lavoro nella fabbrica che la salvò, le selezioni temute e terribili, il vivere famelico.Infine la marcia della morte da Auschwitz a Malchow: “Una gamba dietro l’altra, una gamba dietro l’altra” per una infinità di chilometri (sono circa 660), sulla neve striata di rosso di chi era passato prima e, cadendo, era stato eliminato e lasciato lì. Gli innumerevoli passi di creature ridotte a larve, affamate, chine a rubare un pugno di neve bianca per bere, a brucare la terra cercando una radice marcia o un osso dimenticato.Parole dure ma vere come la verità che solo i testimoni possono raccontare. E per questo mai espresse per impressionare ma per imprimere in chi ascolta che tutto questo è accaduto davvero: “Vi parlo da nonna, vi parlo ad uno ad uno: amate la libertà. E amate la vita. Siete fortissimi voi ragazzi e non sapete quanto”.Ha chiuso regalando un sorriso: “Mi dispiace da matti avere 90 anni e avere così pochi anni davanti. La vita mi piace moltissimo, anche se gli odiatori mi augurano la morte ogni giorno”. E ai ragazzi ha augurato: “Pensate con la vostra testa, non come quelli che seguono sempre chi grida più forte”. L’intervento della Segre è stato introdotto da Ferruccio De Bortoli, presidente onorario della Fondazione Memoriale della Shoah, e preceduto dall’intervento del neoministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina. Questa, riprendendo la standing ovation con cui i duemila ragazzi presenti a Milano hanno accolto l’ingresso a teatro della senatrice, l’ha assicurata: “Siamo noi la sua scorta, la scuola si onora di essere la sua scorta contro ogni rigurgito negazionista e fascista e contro ogni odio nella difesa della Costituzione italiana”.Simonetta Venturin