Gli impegni di Gioconda Belli: dalla giustizia sociale alla donna

A Dedica, Pordenone, dal 9 al 16 marzo

Sarà la pordenonese Federica Manzon ad intervistare, sabato 9 marzo al teatro Verdi, la protagonista di Dedica edizione 2019: Gioconda Belli. Quarta donna nei 25 anni della manifestazione ad essere al centro degli interessi letterari di Pordenone per una settimana intera attraverso vari e variegati incontri. Con Gioconda Federica ha già realizzato un’intervista che andrà a costituire il catalogo monografia dell’evento, arricchito da un racconto inedito che l’autrice nicaraguense ha regalato a Pordenone insieme a cinque poesie ugualmente inedite. Generosità femminile, verrebbe da dire. Ne parliamo direttamente con Federica Manzon.

Che cosa ha da dire a Pordenone una scrittrice che viene dall’altra parte del mondo?

Molto. Per il fatto che tutte le trame della sua  vita, che lei inserisce nei libri che ha scritto, sono tragicamente attuali. Lo è l’ultimo romanzo che, sia pur ambientato nell’Ottocento, tratta del tema della immigrazione. Lo sono gli altri suoi libri, nei quali entra la storia del Nicaragua, che è oggi la storia di tanta parte dell’America Latina, tra dittature e reazioni di popoli.

Gioconda è stata un’attivista sandinista. Leggendola, la sensazione è che il suo impegno non sia stato per un partito quanto in difesa dell’uomo, per una giustizia sociale. E così?

Abbiamo parlato a lungo con Gioconda della situazione del mondo d’oggi, per esempio di quanto sta accadendo nel Nord Africa e dei migranti. Per certo l’uomo è al centro del suo interesse.

In particolare, riguardo la sua esperienza diretta in Nicaragua, mi ha raccontato di come a quel tempo loro attivisti si sentissero di agire per un “noi”, accomunati da una giustizia ideale, dal sentirsi vicino al popolo. Gioconda è figlia di una famiglia benestante, ma non ha esitato a schierarsi a difesa del popolo. C’era l’impegno per costruire insieme un mondo migliore. Lo ha vissuto convintamente, attivamente, raccontando oggi di una empatia tra persone straordinaria. Poi però, quando quel movimento è diventato partito, tutto questo è venuto meno.

A lei è toccato l’esilio.

Sì, in Messico e in Costarica.

E in Nicaragua è tornata? Si legge che c’è tensione, la stampa è imbavagliata.

So che nell’ultimo mese le hanno consigliato di non rientrare. Lei ha il suo passato e ha un compagno americano, vive in California. Gli americani non sono ben visti. Comunque la situazione di oggi, come lei stessa la descrive, non è simile al passato. L’opposizione non è violenta.

Che impronta ha il femminismo di Gioconda?

Ha una caratteristica molto bella. Non si riconosce nella categoria scrittura al femminile, etichetta che se vogliamo è figlia di una cultura maschilista. La sua linea non è quella della rivendicazione ma quella della esaltazione della donna, non è antitetica ma celebrativa del femminile.

Nel suoi libri la donna è femmina anche nel senso antico di mater, dea della fecondità.

Il potere creativo della donna è a pieno titolo nella scrittura della nostra autrice. E’ anche l’aspetto che spaventa l’uomo e la società maschilista, là dove il potere creativo è sì il generare la vita (la Belli ha tre figli ndr.), ma è anche capacità di creare arte. E su questo fronte può esserci rivalità con l’altra metà del cielo.

C’è una magia arcaica nei suoi scritti, specie nel rapporto tra uomo e natura.

Sì, ma lei sostiene che il realismo magico è solo quello di Marquéz e di nessun altro dopo. Però c’è. Si pensi ne La donna abitata, alla corrispondenza unica che c’è tra la giovane Lavinia che oggi entra nel movimento rivoluzionario del suo paese oppresso dalla dittatura e la donna che, mezzo secolo prima, aveva subito l’invasione spagnola. La seconda vive sotto forma di albero d’arancio nel giardino della prima…E tra le due c’è una corrispondenza.

La magia sta nel fatto che questo rapporto sia possibile.

Gioconda insiste su un punto: è tutto merito del paesaggio del Nicaragua. Quello che a noi appare magico, per lei è figlio di quella natura. Se fossimo là anche a noi apparirebbe normale. O almeno questo è quanto sostiene convintamente lei. E dice che vale anche per la poesia.

Ovvero?

Che anche la sua poesia è figlia del Nicaragua, della sua natura. Che può scrivere poesie solo quando è là, davanti e immersa in quel paesaggio.

La sua poesia è ugualmente molto al femminile.

E’ un aspetto che mi è piaciuto molto di lei: concreta ma innovativa tanto da sembrare visionaria. E’ un linguaggio nuovo che può sembrare forte a noi, molto accentuato nei sensi, ma è figlio di quella ambientazione. E’ gioia di vivere. La poesia di Gioconda è gioiosa. E anche molto comunicativa.

Averla qui proprio nei giorni prossimi all’8 marzo sarà un trionfo.

La cosa che ho scoperto conversando con lei è che la sua attenzione al mondo delle donne è ampissima. Per esempio: se deve parlare di libri, parla di libri scritti da donne; se parliamo di poesie o di personaggi fa lo stesso. La donna è al centro. Solo per difetto capiamo quanto siamo noi distanti da questa forma mentis. Non è una fissazione la sua ma una esaltazione bella e, lo ripeto, gioiosa e creatrice.

Le sta molto a cuore anche il tema della violenza subita dalle donne.

Sì, è un impegno che porta avanti in vari modi: attivamente, partecipando ad eventi; ma anche scrivendo. Ci sono tante forme di violenza e lei le ricorda tutte: da quella più visibile a quella vissuta nella dipendenza economica, nella gestione dei figli quando la coppia si separa. Ci sono dei dati che mi ha ricordato proprio nell’intervista che le ho fatto: in Bangladesh il 50% dei femminicidi è compiuto da un familiare e in Nicaragua il 70% delle donne ha confessato di essere stata picchiata da un uomo almeno una volta nella vita. Per questo lei sostiene che non sono mai battaglie inutili, che è ancora il tempo per esse. E anche se oggi pare di aver compiuto qualche passo indietro rispetto agli anni ’70, lei ribadisce che sono i passi avanti di allora che ci permettono di dirlo.

Ed è sempre ottimista: sono conquiste lente, però la situazione di oggi ci costringe nello stesso tempo a non abbassare la guardia. Con calma ma senza fermarsi.

Ha nominato il nuovo libro. Esce nei giorni in cui Gioconda è a Pordenone. Possiamo anticipare qualcosa?

E’ un romanzo storico, non il primo. Parte dalla Francia e arriva al Nicaragua. Racconta la storia del nonno di sua nonna: un nobile, accusato di aver orrendamente ucciso la moglie, che riesce ad evitare la pena di morte per il suo status di privilegiato. Però deve andarsene, fuggire, abbandonando tutto. Inizia un viaggio che è molto simile alle odierne migrazioni: non sa per dove, deve solo partire. Il destino disegnerà la sorte. Quel viaggio sarà per lui un rinascere, sarà un’altra persona. E così arriva in Nicaragua.

Conoscendola, si è mai espressa circa il tema dei migranti?

Nello specifico della questione Italia ed Europa no. Però l’ho più volte sentita dire che tutti i popoli migliori derivano – in senso lato – da un barcone, ovvero da una mescolanza.

E’ ottimista anche su questo punto: i no di oggi non fermano il mondo né il cambiamento che è in atto.

Per chi ancora non la conosce: da quale libro suggerisce di partire?

Da La donna abitata, capolavoro che l’ha fatta conoscere nel mondo e in Italia. Parla della sua vita ma in forma romanzesca. Parte dalla sua biografia ma, grazie all’intreccio creato dalla sua ricca immaginazione, arriva a darle un senso universale.

Sarà la sua prima volta di Gioconda in Italia e in Friuli? E parla italiano?

Forse un po’ italiano lo parla, ama le lingue. Ma io l’intervista l’ho fatta in inglese.

Per l’Italia: sarà una prima. E’ stata in Europa, ha studiato in Spagna. Mi ha confessato di esserci arrivata con un sentimento ostile, da figlia dei colonizzati che va nei paesi dei conquistatori. Ma attraverso lo studio della lingua spagnola e della letteratura quel sentimento si è trasformato in profondo amore. E anche questo è molto bello.