Omicidio di una donna incinta

 Il legislatore ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché "la morte è l'opposto della vita”

L’uccisione della giovane Giulia Tramontano, incinta al settimo mese di gravidanza, colpisce per la sua crudeltà e perché, insieme alla donna, ha perso la vita il figlio che aveva in grembo. Molte persone si sono domandate quali misure possano essere adottate per impedire il perpetuarsi di violenze contro le donne e come la legge consideri il nascituro, quando sia vittima della violenza.  

Per prevenire la “violenza di genere”, cioè la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, e gli atti persecutori, sono state emanate varie leggi (la n. 38 del 2009, la n. 119 del 2013 e la n. 69 del 2019), con la finalità principale di tutelare le vittime di violenza domestica, in particolare le donne. Sono state inasprite le pene per alcuni reati che le colpiscono come vittime “privilegiate”, è stato previsto, come aggravante della pena, il caso in cui sia coinvolta una donna in stato di gravidanza.

Tuttavia, malgrado l’intervento legislativo, i dati del Ministero dell’Interno – Servizio Analisi Criminale – riferiti al periodo 1° gennaio -28 maggio 2023, ci dicono che sono stati registrati 129 omicidi con 45 vittime donne, di cui 37 in ambito familiare/affettivo; di queste, 22 hanno trovato la morte per mano di partner o ex partner, a dimostrazione che il solo contrasto legislativo alla violenza verso le donne non riesce ad ottenere i risultati sperati.

Nel momento in cui la violenza abbia come vittima, come nel caso di Giulia Tramontano, una donna incinta, anche il nascituro ha diritto ad una sua specifica protezione, potendosi configurare un ulteriore reato. La Corte di Cassazione si è occupata più volte di definire il reato di interruzione di gravidanza non consensuale, quello di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale e quelli di omicidio colposo o volontario. In particolare, ha precisato che l’uccisione del feto è da considerare un omicidio perché, quando la legge penale, all’art. 575 del codice indica genericamente come vittima “l’uomo”, in questo termine è compreso, ovviamente oltre alla donna, anche il feto.

Pertanto, «si realizza l’interruzione della gravidanza  in un momento precedente il distacco del feto dall’utero materno; si realizza, invece, l’infanticidio dal momento del distacco del feto dall’utero materno, durante il parto se si tratta di un feto o immediatamente dopo il parto se si tratta di un neonato; di conseguenza, qualora la condotta diretta a sopprimere il prodotto del concepimento sia posta in essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall’utero materno, il fatto configura il delitto di omicidio volontario di cui agli artt. 575 e 577, n. 1, cod. pen.  Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché “la morte è l’opposto della vita” (Cass. 46945 del 18/10/2004)».

La Cassazione sottolinea, così, come la legge vigili e tuteli il bene della vita umana sin dal momento del concepimento, con la previsione dei reati.  Applicando al caso della giovane Giulia l’insegnamento della Corte di Cassazione, ci pare, quindi, corretta l’accusa all’Impagnatiello di omicidio volontario aggravato, soppressione di cadavere e interruzione di gravidanza non consensuale.

                                                                         Antonio Lazzàro