L'Editoriale
Avevano promesso
Era giusto ferragosto di un anno fa: i talebani entravano a Kabul dopo vent'anni di guerra. Avevano promesso che i diritti acquisiti negli ultimi venti anni dalle donne e bambine non sarebbero stati toccati. amnesty International denuncia invece la loro "morte al rallentatore": niente scuola, lavoro, niente uscire di casa senza un uomo che le sorvegli. E in tv le giornaliste sono coperte anche testa e mani
Era giusto ferragosto di un anno fa: i talebani entravano a Kabul, in un Afghanistan di fatto non difeso dall’esercito locale e ormai in fase di abbandono da parte di quelle forze americane e alleate che dopo vent’anni di presenza avevano annunciato di voler lasciare il campo. A febbraio 2020 il presidente Usa, Donald Trump, fedele al suo America First, aveva sottoscritto un accordo con quelli che, fino ad allora, erano i nemici in persona. E i talebani, con una riconquista rapida delle principali città, sono tornati padroni della nazione.
Le operazioni militari delle truppe alleate erano cominciate in risposta ai fatti tragici dell’11 settembre 2001, quando con un’azione terroristica scenografica e letale, di cui fu ritenuto mandante Osama Bin Laden, due aerei si abbatterono sulle torri gemelle di New York, provocando tremila vittime. Fu uno shock per l’America e per il mondo.
La reazione, annunciata dall’allora presidente Bush figlio come “guerra al terrore”, fu immediata e pesante: prima che scoccasse un mese dagli attentati, il 7 ottobre, ebbe inizio l’invasione del territorio afghano talebano ad opera delle forze locali loro nemiche dell’Alleanza del Nord, supportate da Usa e Nato. Un’operazione nata per punire l’autore di una strage che, per la prima volta nella storia, aveva colpito gli americani in casa loro e finalizzata anche ad esportare democrazia e civiltà in un paese descritto come uno tra i più belli e poveri del mondo.
Vent’anni di guerra si sono chiusi con un bilancio in perdita: dal punto di vista delle vittime e dei diritti. E il paese si è trovato più distrutto e più povero di prima con oltre il 50% della popolazione sotto la soglia di povertà.
Innanzitutto le perdite umane sono state tantissime e da entrambi i fronti: dei 775 mila soldati americani che in vent’anni hanno messo gli scarponi in Afghanistan ne sono morti circa 2500, più altri 4mila soldati mercenari che hanno combattuto pro Usa; poco meno di 21mila i feriti in operazione di guerra. Dalla parte degli afghani le vittime civili dell’operazione dichiarate sono state circa 4700.
Non è poi secondario il fatto che i diritti portati da vent’anni di presenze straniere – sia pure limitatamente ad alcune aree di maggior loro presenza – si siano sciolti più rapidamente della neve al sole, nonostante i primi proclami dei talebani vittoriosi in jeep e mitra.
La questione donne e bambine è centrale: donne con o senza velo, donne che lavorano o meno, bambine a scuola o no hanno segnato evoluzione e involuzione del paese. Tanto è vero che alla riconquista del potere i talebani si erano subito prodigati ad annunciare che i diritti delle donne non sarebbero stati toccati.
I fatti le hanno svelate promesse di facciata: ad oggi niente più scuola secondaria per le bambine, niente più lavoro per le donne, niente più possibilità di uscire di casa e camminare per strada se non accompagnate da un Mahra – un maschio di famiglia o un tutore – pena l’arresto. E le giornaliste in tv sono ricomparse velate e con le mani coperte.
In un report del 27 luglio scorso, Amnesty International definisce quella delle donne e bambine afghane una “morte al rallentatore”: i talebani violano i diritti di studio, lavoro, libertà di movimento e non si contano gli arresti e gli imprigionamenti, le torture e le sparizioni forzate delle manifestanti contro la reintroduzione di queste norme. Norme che, specifica il rapporto, “formano un sistema che discrimina le donne in ogni aspetto della loro vita. Ogni azione quotidiana è controllata e fortemente limitata con una oppressione soffocante che aumenta ogni giorno”.
I talebani avevano promesso altro. Evidentemente la loro cecità è tale per cui, soffocando le donne, non si rendono conto di soffocare la metà delle intelligenze del paese di cui sono alla guida, aggrappati al presente dei loro kalashnikov più che al progetto di costruire un futuro per i loro stessi figli.