L'Editoriale
Quale luce alla finestra?
I profughi tra Polonia e Bielorussia: cavallo di Troia in carne ed ossa, cartina di tornasole del peso politico delle nazioni e dell'Unione Europea. Mentre qui l'Avvento fa risplendere le vetrine e accende luci ad ogni uscio, là cuori di uomini pietosi accendono di verde le finestre per dare almeno un pasto caldo
Quale luce
alla finestra?
Simonetta Venturin
La fortezza Europa si arrocca nel castello dei suoi agi, alza il ponte levatoio e si chiude a chi bussa alle porte di quella che abbiamo ritenuto essere un faro di civiltà e che oggi non sa trovare una risposta condivisa verso chi, dal mare o da terra, spinto da guerre, fame e disperazione, abbandonata ogni cosa, rischia la propria vita pur di arrivare ai suoi confini.
E’ drammatico quanto sta accadendo tra Polonia e Bielorussia: con la prima che si difende e respinge, la seconda che spinge e usa i migranti come cavallo di Troia in carne e ossa. Il cardinale di Vienna, Cristoph Schonborn ha denunciato come le persone siano “usate brutalmente come un giocattolo del sovrano… spinte avanti e indietro come merci”.
Sono i profughi questa merce indesiderata eppure usata come cartina di tornasole del peso politico delle nazioni in gioco. Sono uomini, donne, famiglie con bambini anche piccoli. Nel nostro Mediterraneo annegano, nei boschi d’Europa congelano. Li abbiamo visti dai tg: mani gonfie dal freddo, getti d’acqua che scaraventano lontano, fuochi improvvisati. Li abbiamo letti dalle cronache degli inviati: “Una bambina curda che chiede invano una bottiglietta d’acqua. Per risposta il mitra puntato dei militari polacchi. Mentre alle spalle i corpi speciali di Minsk strattonano i profughi affinché non desistano” così ha scritto Nello Scavo su Avvenire (10 novembre), che da settimane testimonia lo scandalo in atto davanti agli occhi vitrei di un’Europa che non sa trovare una soluzione a un dramma non nuovo, eppure ora tanto grave.
E’ un’Europa forte o fragile quella messa in scacco da qualche migliaio di migranti laceri, infreddoliti, armati di miseria, disperazione e di una speranza che resta impigliata sul filo spinato steso a difesa di noi stessi?
La cattolica Polonia si divide tra un governo che chiede finanziamenti all’Unione europea per erigere muri difensivi e una Conferenza episcopale che indice domeniche di raccolta fondi per aiutare i miseri in ballo tra due respingimenti. Certo, consolano le luci verdi che alcune famiglie lasciano accese alle finestre: un segnale di disponibilità ad aiutare con un pasto, una coperta, una ricarica del cellulare, per poi lasciar tornare nel bosco in attesa di un varco, un’occasione di passaggio. Dietro ogni luce verde c’è un cuore d’uomo che pulsa: un aiuto in sé prezioso che rivela però l’atto di pietà del singolo, non la risposta di una nazione o dell’Ue.
La questione è molto intricata e alla vicenda umana si sommano quella politica ed economica: la Bielorussia di Lukashenkonon svela i lati oscuri e gioca la carta migranti per affermare se stessa o – si dice – per dimostrare pro Putin che l’Europa non è poi così forte. Inoltre, è ormai comprovato che numerosi voli di dodici compagnie aeree bielorusse partono da tre città curde (tra cui Erbil che fu martoriata dall’Isis) per scaricare nella capitale – Minsk -, afghani, curdi, siriani ma anche congolesi e camerunensi. La Bielorussia importa migranti che pagano da 6 a 15 mila euro un pacchetto comprendente volo, visto turistico, alloggio temporaneo e viaggio fino al confine con l’Europa. E lo fa sapendo che non hanno intenzione di fermarsi nel suo territorio: tutti mirano all’Europa.
Nel frattempo anche gli stati confinanti si sono attrezzati contro i profughi portati dalla Bielorussia: la Lituania ha costruito una barriera di oltre 500 km, la Lettonia una recinzione di filo spinato di 150 km.
In risposta ai dodici stati che ai primi di ottobre hanno chiesto alla Commissione Europea finanziamenti per costruire barriere difensive, l’Ue ha ribadito che non finanzierà con fondi comuni la costruzione di muri: ciascuno Stato resta però libero di farlo a proprie spese. Inoltre, l’Ue ha trovato un accordo per imporre sanzioni alla Bielorussia riguardanti “persone, linee aeree, agenzie di viaggi e qualunque soggetto abbia contribuito a spingere illegalmente i migranti verso il nostro confine”. Ma i risultati concreti al momento latitano.
Mentre anche l’Alto Commissariato per i rifugiati implora solidarietà ad entrambe le frontiere, l’unica che ha trovato risposta è la voce della cancelliera Angela Merkel e duemila dei settemila profughi presenti in Bielorussia a ridosso del confine polacco sono stati tolti dall’addiaccio e portati in un capannone dismesso.
Assistendo a certi reportage è difficile ricacciare indietro l’eco delle parole di Primo Levi: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo…” (incipit de “Se questo è un uomo”). E quanto qui ci circonda si fa sempre più stridente con quella realtà: vetrine illuminate e ricolme di ogni bene per l’imminente Natale – siamo alla prima domenica d’Avvento – sguardi più attenti ai decori nuovi per l’albero o alla strenna per la porta di casa che non ai contagi in drastica ascesa e ancor meno ai lontani migranti, braccati nei boschi, che non avranno cene in famiglia, doni avvolti in carta dorata e camini accesi per caldi scambi d’auguri.