L'Editoriale
Fare squadra
Il messaggio del Rettore per la Giornata del Seminario, Domenica 21 novembre
Da cent’anni il Seminario è a Pordenone. Ogni settimana Il Popolo dedica gentilmente una pagina al Seminario per questo anniversario, che non vuole far dimenticare, però, che l’istituto è nato a Portogruaro nel 1704 e che, quindi, porta sulle sue spalle ben più di trecento anni di storia.Ascoltando alcuni commenti alla mostra fotografica allestita nei porticati, uno mi ha colpito particolarmente: “Si vede che sono cambiati i vestiti!”. La frase mi ha provocato. Mi sono chiesto: “È proprio cambiato proprio solo questo?”.Mi torna questa domanda anche quando sento definire il Seminario “modello tridentino”, riferendosi al Concilio che ha istituito questi luoghi di formazione. Il Seminario è proprio ancora quello di Trento o di San Carlo Borromeo?L’edificio sicuramente mostra la sua età e nelle sue forme rivela, pure, la mentalità che guidava l’educazione nei tempi andati: una mole imponente, corridoi lunghi quanto una galleria, soffitti irraggiungibili. E ricordo benissimo che queste erano le dimensioni anche delle scuole elementari che ho frequentato. Qualcuno potrebbe dire: “Tutto per farti sentire piccolo e far sentire pesante l’autorità di chi governa”.A questo, se si vuole, si possono aggiungere ricordi e aneddoti di tanti preti: non si poteva parlare con uno di un’altra camerata, ci si chiamava per cognome, si andava a casa solo a Pasqua, non si poteva fare questo e non si poteva fare quello. Sulle gradinate poi schierati, tutti neri nei loro vestiti, piccoli e grandi, messi insieme facevano un esercito.Oggi tante cose, oltre ai vestiti, sono cambiate. Innanzitutto nei rapporti, dentro e fuori. Torna spesso sulla bocca dei seminaristi la parola “fraternità”: è forse la dimensione che vivono in maniera più forte nell’esperienza di stare per alcuni anni sotto lo stesso tetto, condividendo la preghiera, non solo come liturgia, bensì come condivisione e narrazione reciproca di quello che la Parola genera dentro il cuore. E ancora vivere insieme lo studio e il lavoro manuale o domestico.Da alcuni anni questa esperienza di fraternità si estende anche al tempo trascorso in parrocchia, andando in servizio almeno in due, ormai quasi tutti in più comunità. Contrariamente ad un tempo, oggi dal Seminario si esce con frequenza: gli studenti di teologia si recano in parrocchia non solo nei weekend, ma spesso anche per riunioni ed incontri durante la settimana. Attraverso i mezzi tengono fitti rapporti con preti, catechisti, giovani e altri della comunità: sotto gli alti soffitti del Seminario non manca il cicaleggio che annuncia l’arrivo di twit o messaggi whatsapp.Naturalmente anche i numeri sono cambiati. Scorrendo qualche commento sulla pagina facebook del Seminario, dove si pubblicano immagini e note di alcune attività, mi è capitato di leggere: “Che bella squadra!”. Mi piace l’espressione. Mi rimanda che la forza, più che nei numeri, sta nell’intesa, nella capacità di far gioco assieme.L’essere una bella squadra è fatto dell’arte di sapersi passare la palla, di correre in difesa nella necessità, di cogliere l’attimo con uno sguardo che intuisce il momento giusto, perché conosce i tempi dei movimenti dell’altro.
Credo che questo tempo di vita insieme tra i discepoli, che prima di Trento per i Seminari, ha voluto Gesù maestro per i Dodici (Mt 23,8), abbia ancora molto di buono da dare. Esportare questo fare squadra secondo il “modello della fraternità” nei rapporti da vivere all’interno delle nostre comunità parrocchiali, tornando un po’ al clima degli Atti degli Apostoli, credo profondamente che sarà la scelta giusta per il futuro della Chiesa e, forse, anche quello che già si vuole realizzare con il cammino sinodale.