L'Editoriale
Il lavoro non deve uccidere
Oltre mille e cento vittime nei primi nove mesi del 2021: i morti sul lavoro hanno superato la media annuale italiana che si attesta attorno ai mille l'anno, quasi tre al giorno.
Una necessità degli adulti, che per suo tramite mantengono se stessi e la famiglia, il lavoro è diventato – specie negli ultimi giorni di settembre – luogo di morte. Quindici vittime in tre giorni: un numero che interroga e sprona a prendere coscienza di quel che non va. Anche perché tutto il 2021 sta presentando un conto inaccettabile di vite umane. Nei primi nove mesi dell’anno, infatti, i morti hanno toccato quota 1.132: 544 sul posto di lavoro, il resto in itinere. Vi si sommano 137 agricoltori morti schiacciati dal trattore, mentre non entrano in questa tristissima contabilità i morti per covid contratto sul posto di lavoro: dal primo gennaio al 30 settembre 90 medici (360 dall’inizio della pandemia) e un’ottantina di infermieri, anzi infermiere, perché se circa il 90% dei caduti sul lavoro sono uomini, nel caso degli infermieri si tratta per il 70% di donne.
Oltre mille e cento vittime in 9 mesi è una cifra enorme: ben oltre la media annuale italiana che si attesta attorno alle mille, quasi tre al giorno (2,74).
Sono questi i numeri resi noti dall’Osservatorio indipendente di Bologna: una banca di dati e di casi, nomi e storie, nata nel 2008 grazie a Carlo Soricelli, che la realizzò dopo l’incidente alla Thyssengrupp di Torino in cui, nella tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette degli otto operai investiti dall’olio bollente. Un incidente tremendo, acme di un anno horribilis che registrò un picco di morti sul lavoro: 1.260, più di tre al giorno. A causa di quegli elevati incidenti mortali molto si parlò allora di questi temi. Il docente e scrittore Marco Rovelli pubblicò un libro, “Lavorare uccide”, nel quale andò ad ascoltare le voci dei sopravvissuti. Fece parlare famiglie e colleghi per raccogliere – sia pure a frammenti – parte di quelle vicende: frasi ricordate, atmosfere percepite, racconti di contesti difficili, stanchezze confessate o preoccupazioni trapelate. Il tutto con uno scopo preciso: non lasciare svanire quelle che per la cronaca sono le morti bianche (le morti sul lavoro). Perché questo di solito accade: il silenzio eterno di chi – suo malgrado – non ‘è più cala in fretta sul breve fragore della cronaca. Un silenzio col quale dovranno giocoforza convivere, allora come oggi, vedove, orfani, genitori anziani rimasti soli, amici e colleghi.
E’ sempre arduo dall’esterno sapere e comprendere: gli incidenti hanno tante e diverse cause. A volte sono fatalità, altre sviste, altre ancora sono causati da non adeguate preparazioni per mansioni pericolose o da carenti o insufficienti protezioni. Ci sono stati anche casi in cui i dispositivi di sicurezza erano stati rimossi perché creavano problemi o rallentavano il ritmo della produzione. Come non ricordare Luana, la giovane mamma che ha perso la vita a Prato per un orditoio senza sicura?
Anche se una macabra statistica vuole che più si lavora più il rischio aumenti, non ci si può rassegnare ai tg che si fanno bollettini dei caduti quotidiani. Il lavoro non è una guerra. Eppure, come in una guerra, ogni giorno elenca le sue vittime alle quali si aggiungono i tanti casi di invalidità temporanee (in media 600mila l’anno) o permanenti (30mila).
L’Anmil (associazione nazionale mutilati e invalidi) celebra la sua 71a Giornata nazionale proprio domenica 10 ottobre (a Fontanafredda per il pordenonese), dopo una settimana in cui ha concentrato incontri con ministri e istituzioni.
Il Premier Draghi ha avuto toni fermi, parlando di una situazione che “assume sempre più i contorni di una strage” e ricordando per nome le ultime vittime. Un gesto attento al quale ha mostrato di voler dare pronto seguito sia attraverso “pene più severe e più immediate” sia andando a creare collaborazione tra lavoratori e industria per l’individuazione precoce delle debolezze interne alle aziende. Propositi già condivisi con i sindacati e rimarcati dal Ministro del lavoro, Orlando, che ha parlato di “nuovi strumenti” che verranno grazie ai fondi del Piano nazionale di rinascita e resilienza, della assunzione di 1.200 ispettori e di una prossima convocazione dei presidenti delle regioni.
Un’agenda ricca e tutta da realizzare che deve confrontarsi con la quotidianità dei ritmi vorticosi di lavoro, delle stanchezze, delle sviste, dei neo assunti non sempre adeguatamente istruiti alla mansione richiesta. Perché “Lavorare stanca” – diceva Cesare Pavese – ma uccidere no, quello il lavoro non dovrebbe farlo mai.