Disconnessi? Solo per prova

Un paio di esperimenti hanno chiesto ad adolescenti e giovani di non usare il proprio smartphone in occasione della gita scolastica o per un periodo di tre giorni. Il senso del tutto non è ovviamente un inno ipocrita contro le tecnologie né un invito a riavvolgere il nastro del tempo per vivere senza uno strumento che è indispensabile in molte occasioni. La questione è semmai vedere se è possibile imparare a riporlo. E qui siamo tutti in prima linea nell’uso e nell’abuso

Ormai il cellulare è la nostra prolunga, una protesi tanto funzionale quanto irrinunciabile. Vale per i grandi: lei e lui al caffè, ieri erano occhi negli occhi, oggi sono occhi allo smartphone, ciascuno il suo. Vale per la cena in famiglia: cucchiaio, bicchiere, cellulare e toglierlo è una litigata. Vale ancor più per i ragazzi che, da nativi digitali, non hanno memoria né pratica del vivere senza. Da qui sono nati un paio di esperimenti.

Il più vicino a Maniago. La proposta ardita dei prof della scuola media Marconi è stata: in gita senza cellulare. A disposizione dei genitori, per la verifica dell’incolumità dei figli, il numero di telefono di un insegnante. Niente altro. I genitori hanno acconsentito, ai ragazzi non è rimasto che accettare. Esito? Sopravvissuti e contenti, tanto che si pensa di farne una prassi, affinché le gite siano davvero di istruzione: occhi ai monumenti e non agli schermi.

Distante ma significativo un altro banco di prova, che ha coinvolto 429 ragazzi delle superiori di Vignola e Pavullo in provincia di Modena. La sfida: spegnere il cellulare e restare disconnessi da internet per tre giorni interi (5, 6, 7 marzo). Non poco per ragazzini che, in media, hanno avuto il primo cellulare a 11 anni e dichiarano di usarlo da cinque a dieci ore al giorno. Il 54% non lo spegne mai, il 67% lo tiene acceso sul comodino anche di notte.

Come è andata? Quasi un terzo non ce l’ha fatta. Il 71% ha resistito, ma il 29% no e ha interrotto l’esperimento dopo un giorno, chiedendo di “rompere la busta” in cui i singoli cellulari erano stati sigillati. A tutti però l’esperienza è piaciuta: almeno hanno sperimentato il vivere disconnessi.

Tra il 71% di chi ce l’ha fatta i commenti sono stati positivi: il 78% dice di stare bene anche senza cellulare, il 75% di aver superato la prova “molto bene”, il 60% ha parlato di più con amici e genitori.

Il senso del tutto non è ovviamente un inno ipocrita contro le tecnologie né un invito a riavvolgere il nastro del tempo per vivere senza uno strumento che è indispensabile in molte occasioni. La questione è semmai vedere se è possibile imparare a riporlo. E qui siamo tutti in prima linea nell’uso e nell’abuso.

Inoltre, considerato l’ingresso nel cuore della quaresima, non è male ricordare che tra i fioretti è stato aggiunto proprio questo: un uso ragionato e onesto del cellulare. Non un digiuno totale ma una disconnessione pro tempore nella speranza che l’interiorità, e chissà anche la spiritualità, possano far capolino tra un wapp e un www.

Pure la nostra diocesi lo ha proposto come uno dei segni: pranzi e cene delle domeniche di quaresima social free con cellulari simbolicamente riposti in una scatola durante il desinare.

Padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, lo ha ribadito ai sacerdoti in uno dei suoi quaresimali: “Siamo costantemente “in uscita” attraverso le cinque porte che sono i nostri sensi. E non soltanto i giovani e i ragazzi”. Ha fissato il concetto in un “Rientra in te stesso”: pare uno slogan di oggi invece viene da Sant’Agostino.

I ragazzi di Modena gli danno ragione: soddisfatti tanto da proporre una Giornata nazionale della disconnessione: disconnettersi dai social per connettersi agli altri. Non resta che provare.