Diocesi
Domenica 28 dicembre, chiusura del Giubileo a Concordia. Omelia del Vescovo Giuseppe: “Rimarremo pellegrini di speranza”
Carissime e carissimi tutti, nel chiudere l’Anno giubilare nella nostra Chiesa di Concordia-Pordenone, desidero riproporvi le parole che Papa Francesco scrisse nella conclusione della Bolla di indizione del Giubileo: “Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore” (Salmo 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente”. Pertanto aggrappiamoci alla speranza per credere ancora nel futuro. Abbiamo vissuto un anno giubilare intenso. Le brevi ma vibranti testimonianze che abbiamo ascoltato ce lo hanno confermato. Ne rendiamo felicemente grazie al Signore, dal quale proviene ogni bontà e consolazione. Sento anche di dover dire grazie a tutti coloro che in quest’anno giubilare hanno lavorato per organizzarlo e a quelli che si sono lasciati coinvolgere nelle varie iniziative che – rilette insieme – hanno come costruito un grande pellegrinaggio globale della nostra Chiesa: un itinerario capace di restituirci i fondamenti della nostra gioia, di ricordarci com’è fatta la forma della bellezza e di rigenerare nel nostro intimo la speranza. Per questo, per tutto il bene visto e vissuto, non lasciamoci sopraffare, peggio intrappolare, dal diffuso malessere che circola nel mondo e dentro l’animo umano. Lo sappiamo bene: il malessere si diffonde per la mancanza di speranza. Il Signore Gesù è la nostra speranza e noi cristiani siamo chiamati a portare nel mondo un contributo di speranza, superando le nostre paure, abbandonando il pessimismo e annunciando con gioia che Gesù è vivo, è presente e non ci lascia mai soli. Ce lo ha ricordato Papa Leone nell’ultima udienza giubilare: “Il Giubileo volge al termine, non finisce però la speranza che questo Anno ci ha donato: rimarremo pellegrini di speranza!”. Nel Natale del 1924 Bonhoeffer scriveva: “L’ottimismo non è un modo di vedere la situazione presente ma è un’energia vitale, una forza della speranza laddove altri si sono rassegnati”.
Non è un caso che il Giubileo nelle diocesi si sia aperto e ora si chiuda nella festa della Santa Famiglia che oltre essere per noi un esempio, è un vangelo, una buona notizia di amore, di coraggio e di speranza, per aiutarci a meditare e riflettere sulla famiglia, fondamento della Chiesa e della società. Una famiglia umanissima, di poveri e semplici di cuore, ma con una fede grande nel Signore che racchiude quella del Popolo di Dio che ha atteso per secoli il Messia Salvatore! Infatti il racconto della fuga in Egitto è modellato sull’evento centrale della storia del popolo di Dio: l’Esodo dall’Egitto. Nello spazio di pochi anni di vita della Santa Famiglia si sono concentrate le vicende di secoli del popolo ebraico, che scese in Egitto per fuggire dalla carestia, vi rimase per secoli e poi sotto la guida di Mosè ritornò nella terra dei padri. L’evangelista Matteo presenta questo episodio offrendoci l’opportunità di riflettere e di meditare gli eventi del Natale dalla prospettiva particolare di Giuseppe, aiutandoci a rispecchiarci su di lui e ad essere uomini e donne ‘generativi’ come lui. Giuseppe ci ricorda che nessuna ferita, nemmeno quella affettiva, è irreparabile. Che il sogno non va accantonato, ma purificato. Dio può trasformare ciò che appare una fine in un inizio, entrando nelle nostre fratture per farne culla di una vita nuova.
La scena che il Vangelo ci presenta è di grande concretezza: una famiglia costretta a fuggire per salvare un bambino. Giuseppe riceve un messaggio in sogno: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo” (Matteo 2,13). È come se Dio gli dicesse: non lasciarti paralizzare dalla paura, reagisci e custodisci la vita che ti è affidata. Quanta responsabilità si assume Giuseppe: custodire il Figlio di Dio che si è fatto uomo. Non ha esitazioni, non chiede garanzie, non risponde con parole ma con fatti concreti, fidandosi di Dio e assumendosi la responsabilità della situazione. La fede di Giuseppe nasce così: non dal comprendere tutto ma da un piccolo, decisivo movimento del cuore. Questa famiglia ci mostra come vivere la fede, l’amore e la comunione. È il luogo dove si cresce, si apprende, si ama e si è amati. Luogo dove si trasmettono i valori, dove si vive la fede in un ambiente di grazia, di pace e di amore.
La Santa Famiglia non è un’immagine idealizzata, ma un compagno di strada per chi vive giorni difficili. Le vicende che ha vissuto ci dicono che Dio non abbandona chi attraversa la notte e che la sua protezione passa attraverso gesti semplici e, talvolta, difficili da interpretare, con la certezza che la soluzione passa in fatti o luoghi spesso non previsti. Anche oggi molte famiglie vivono la condizione di fuga e di persecuzione. Vi sono nel mondo decine di milioni di persone e di famiglie costrette a fuggire dai loro paesi, alla ricerca di una vita più dignitosa, per la guerra, la persecuzione e la povertà causate dai tanti Erodi che esercitano un potere assoluto. Ma anche nel nostro paese numerose famiglie, sperimentano l’instabilità e la fragilità, fuggendo da qualche Erode che le sovrastano. Pensiamo alle tante famiglie in crisi per un lavoro povero o che è a rischio; per coloro che sentono l’apprensione per una dimora sicura; per coloro che provano l’instabilità degli affetti, vivendo situazioni di tensione, di incomprensione e di divisione; per quelle segnate da sofferenze, malattie e lutti.
Carissimi, viene spontaneo chiederci: dobbiamo cadere nel pessimismo o aggrapparci alla speranza che non delude? Rimaniamo in attesa di qualche sogno o di un messaggio angelico? Non ne abbiamo bisogno perché il Vangelo è la buona e bella notizia, il grande messaggio che Dio stesso ci ha inviato. La Parola oggi ce lo fa vedere e contemplare in Giuseppe, modello di fede e di obbedienza alla volontà di Dio. Per Giuseppe la fede non è astratta ma è azione, traducendosi in opere concrete. Ce lo ha ricordato l’Anno giubilare che stiamo chiudendo, invitandoci ad essere segni di speranza nel mondo, segni di speranza per le famiglie, segni di speranza nei luoghi in cui si formano le generazioni di domani, segni di speranza dove di costruisce e si lavora, ma anche segni di speranza dove ancora esiste la povertà e la sofferenza, e infine segni di speranza per chi l’ha smarrita. Il Vangelo ci chiede di assumere l’atteggiamento di Giuseppe, riassunto in un verbo: “Egli si alzò” (2,14). Questa è l’azione e l’opera che salvò Gesù. Alzarsi indica movimento dal basso verso l’alto, è il verbo che ci spinge ad elevarci, a puntare in alto e a non rimanere incastrati nelle logiche umane e terrene. Alziamoci, alzatevi, carissimi tutti, presbiteri, consacrati e fedeli laici, verso l’Alto e verso l’altro! Alziamoci per ravvivare la nostra fede nel Signore Gesù, vivo e risorto, pronti a muoverci per amare e servire i fratelli.
L’Anno giubilare volge al termine, non per aspettarne un altro, ma per rinnovare la nostra vita e per continuare il cammino con più slancio e passione, diventando noi stessi segni di speranza nel mondo. Quando i pellegrini arrivavano alla soglia del Tempio di Gerusalemme, si sentivano indicare le condizioni per entrarvi. Ora noi, idealmente chiudiamo la ‘porta santa’, consapevoli che l’Anno santo appena vissuto ci aiuterà a rinnovare la nostra fede, ad agire con più coraggio e determinazione e ad amare e servire chi si trova in necessità.
Buon cammino.
+ Giuseppe Pellegrini, vescovo
