Dove sono finiti i ragazzi delle medie?

Don Serse e i piccoli desaparecidos della messa domenicale e della vita in parrocchia

“Il Signore sia con tutti voi”. Don Serse iniziò la Messa, ma alzando gli occhi lo colse un dubbio: “Con tutti chi?”, si chiese.In chiesa c’erano i soliti. Sui primi banchi una decina di piccoli delle elementari erano tenuti a bada da una catechista. Delle medie nessuno.”Era da dirlo”, pensò il prete. Ogni anno i ragazzetti spariscono. Nei registri risultano battezzati. Ma crescendo si danno alla macchia. Il prete ne ha parlato con i genitori dei cresimandi e si è sentito rispondere: “Fin che erano piccoli venivano a Messa con noi, facevano i chierichetti e cantavano nel coretto di voci bianche, ma giunti alle medie cominciano a fare storie e la domenica mattina è una battaglia esasperata”.”Ma noi possiamo imporre la nostra fede ai figli?”, hanno chiesto Angela e Pietro. Altri genitori avevano lo stesso problema. Alcuni si aspettavano che i loro figli fossero più coinvolti nelle attività della parrocchia, che l’oratorio diventasse la loro casa, che ci fossero gruppi parrocchiali, riferimenti sani in cui sperimentare la bellezza di stare insieme ai coetanei in percorsi di fede e di crescita, lontano da certi gruppi di ragazzi che perdono le giornate giocando con i telefonini, cominciando presto a fumare e altre bravate.Giovedì scorso don Serse, trovandosi con i soliti quattro amici del caffè, ha sollevato il problema. Il cruccio era anche degli altri confratelli. Don Gilberto, uno dei pochi che frequenta ancora i corsi di aggiornamento per il clero, fece notare quanto segue. Gli adolescenti d’oggi, se ci pensiamo, hanno ricevuto un’iniziazione cristiana solo formale in famiglie a volte scompaginate, dove non si prega più assieme.Il catechismo parrocchiale, poi, si riduce a qualche lezioncina per fare la prima Comunione e ricevere la Cresima. Ditemi voi se un ragazzo normale può essere un cristiano convinto e praticante in una società miscredente com’è quella attuale?Papà Dario osserva: “In famiglia abbiamo fatto del nostro meglio, ma i nostri figli non vogliono più saperne di preghiere e di Messe. Con mia moglie mi sono chiesto: In che cosa abbiamo sbagliato?”.Il rapporto dei ragazzi e la fede è più complesso di così, coinvolge aspetti educativi, certo, ma anche sociali e generazionali, di dialogo con la Chiesa. In occasione del Sinodo dei giovani, voluto da Papa Francesco nel 2018, l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Milano ha pubblicato, a cura di Rita Bichi e di Paola Bignardi, il volume “Il futuro della fede”. Ha coinvolto 165 educatori alla fede (genitori, sacerdoti, catechisti, insegnanti, allenatori, ecc.). Questa ricerca, insieme alla precedente del 2015 “Dio a modo mio” che, scandagliando la fede de giovani del nuovo Millenio, fa una foto davvero completa della situazione. Sappiamo anche dall’annuale Rapporto Giovani, pubblicato dall’Osservatore Romano, che oltre la metà dei preadolescenti vivono la stagione del “Bastian contrario”: per affermare la propria libertà entrano in conflitto con ogni forma di autorità e di regola. E’ riduttivo dire: “L’oratorio non ha nulla da proporre”. Oppure: “La scelta di fede è su un piano diverso”, sottolinea don Stefano Guidi, direttore della Fondazione diocesana per gli oratori milanesi nella pubblicazione “Adolescenza e emergenza educativa”. In molti ragazzi emerge il desiderio di evadere da un percorso comunitario vissuto come se fosse già stato tracciato dai genitori. La questione “Li portiamo a Messa oppure li lasciamo a casa?”, non ha una ricetta scontata perché nell’educazione alla fede non si alzano bandiere, bisogna ogni giorno misurarsi con la relazione e usare discernimento, senza mai lasciar perdere, ma nemmeno insistere ad oltranza. Le famiglie, ma anche tutti noi, devono chiedersi di misurarsi con la realtà e di essere adulti che passano dall’insegnare al far vedere, dal tramettere al generare, prosegue don Stefano Guidi, che elenca almeno tre fattori sul restare o sull’allontanarsi degli adolescenti dal percorso crostiano: 1- Gli adolescenti cercano di prendere le distanze e di differenziarsi dal perbenismo formale facendo scattare un allontanamento nella ricerca di un perimetro di autonomia. “Questo dipende anche dalle reti di amicizia (Secondo aspetto). Gli adolescenti sono entusiasmati da dinamiche di protagonismo e di autonomia. Su questo fronte oggi abbiamo acquisito molta consapevolezza. L’adulto non deve porsi davanti al ragazzo come un insegnante di fronte all’allievo ma favorire l’esperienza che favorisca il dialogo di condivisione all’interno di un gruppo, sottolinea (terzo aspetto da non sottovalutare). E’ che qui viviamo in un contesto ideologico culturale che vede con un certo pregiudizio le esperienze e i percorsi di spiritualità cattolica.Gli educatori alla fede, riflette Cristina Pasqualini, “mi piace chiamarli i nuovi eroi perché vivono in un’epoca in cui educare alla fede è una grande missione – aggiunge – non è sempre detto che tutto l’impegno messo nella trasmissione della fede raggiunga gli esiti sperati. Sono pochi i casi di piena continuità generazionale. Molti figli, alla ricerca di risposte alle domande esistenziali fondamentali, si trovano in una fase più adulta della vita, dopo la pausa dell’adolescenza, la Chiesa deve essere pronta ad offrire una proposta pastorale e luoghi specifici all’altezza delle domande.