Domenica 9 maggio: beatificazione del giudice ragazzino Rosario Livatino

Domenica 9 maggio la beatificazione ad Agrigento del giovane magistrato ucciso dalla mafia. Parla la donna guarita per sua intercessione da una gravissima malattia: “Quel giorno saremo tutti un’unica famiglia”

Domenica 9 maggio alle 10, nella basilica cattedrale di Agrigento, la cerimonia di beatificazione del servo di Dio Rosario Angelo Livatino. A presiedere la celebrazione eucaristica il card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Abbiamo chiesto a Elena Valdetara Canale, protagonista di uno dei due presunti miracoli attribuiti all’intercessione del giovane magistrato, come ha vissuto gli ultimi giorni di attesa.

“E’ stata un’attesa accompagnata da profonda gioia interiore, commozione e speranza”, risponde la donna, guarita nel 1996 da un linfoma di Hodgkin diagnosticato nel 1993, che secondo i medici l’avrebbe condotta alla morte in meno di due anni. “In un tempo così difficile per la nostra Italia e per l’umanità intera, penso che il Signore abbia scelto il momento opportuno perché tutti abbiamo bisogno di ritemprarci nella testimonianza di coraggio e di fede fino al martirio del giovane Livatino. Questo è il momento del coraggio e della speranza. È proprio nei momenti difficili che abbiamo bisogno di metterci sub tutela Dei, come scriveva Rosario nei suoi diari”. Noi non saremo probabilmente chiamati a dare la vita, “tuttavia c’è una sorta di piccolo martirio anche nell’impegno e nel sacrificio quotidiano, nelle fatiche di una vita ordinaria, nell’affrontare difficoltà, malattie e lutti”.

Dopo la grave malattia di Elena e la morte prematura di due figlie, Cecilia e Simona, la prova bussa ancora alla porta della sua casa: all’inizio di febbraio il marito Giovanni viene colpito da un infarto causato da un’anomalia congenita dell’aorta e curato per una settimana come ernia iatale a seguito di una diagnosi sbagliata. “La sua vita è stata appesa a un filo, ma Dio ci ha consentito di arrivare in tempo per salvarlo. Si vede – riflette Elena – che il Signore continua a permetterci, come famiglia, di portare la nostra piccola testimonianza”.

Elena, che “rapporto” ha con Rosario Livatino? “Non l’ho mai conosciuto su questa terra, ma ho con lui un rapporto fraterno, come con un fratello maggiore. I santi e i beati sono nostri fratelli e sorelle maggiori, noi tentiamo di imitarne l’esempio, di incamminarci con loro alla sequela del Cristo che hanno amato con tutto il cuore. Non so se posso dirlo: sono figlia unica e Rosario è il fratello che avrei desiderato avere”.

Per Elena, l’ormai prossimo beato ci mostra concretamente che la santità non è riservata ad un’élite, ma è una vocazione alla quale siamo tutti chiamati: “Alcuni camminano più veloci, come Rosario che ha percorso nella sua breve vita una distanza enorme; un cammino che una persona normale non riuscirebbe a percorrere neanche in 100 anni. Noi, che siamo più lenti, prendiamo da lui il coraggio, la consapevolezza di poter fare, nel nostro piccolo, qualcosa di buono per lasciare qualche segno di bene in questo mondo”.

Elena ha seguito a distanza, dalla tv la cerimonia di beatificazione trasmessa da Rai 1 in diretta. “Sono felice di poter partecipare, anche se a distanza, e sono sicura che potrà raggiungere l’animo di tante persone. Lo spirito non conosce confini di spazio o di tempo. Quel giorno saremo tutti un’unica famiglia.

Che cosa gli chiede? “Di venirmi incontro quando il Signore, dopo il Purgatorio, mi riterrà degna di entrare in Paradiso. Vorrei poterlo abbracciare insieme a Cecilia e a Simona. In questi anni l’ho spesso pregato, quando loro fossero giunte in paradiso, di accoglierle con un abbraccio. Nello stesso tempo gli chiedo di invocare la protezione di Gesù e di Sua Madre su tutti noi, il loro sostegno in questo momento buio. Gli chiederò che ci aiuti a non avere paura. Come ci esortò San Giovanni Paolo II (nell’omelia della messa di inizio pontificato il 22 ottobre 1978, ndr): ‘Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!’”. “Ora – conclude – Rosario non appartiene più solo alla sua terra ma è di tutti noi, del mondo intero”.