La Parola del Papa
Papa in Iraq: “Sta a noi convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace”
Sabato 6 marzo: storico incontro a porte chiuse con il Grand Ayatollah Al Sistani, l'incontro interreligioso nella piana di Ur e la Messa nella cattedrale caldea di San Giuseppe. Sono i tre momenti che hanno scandito la seconda giornata del Papa in Iraq, per compiere un altro passo sul cammino della fraternità
“Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello”. Nel suo terzo discorso in Iraq, dalla piana di Ur dei Caldei, secondo la tradizione luogo di nascita di Abramo, il Papa ha lanciato un nuovo appello alla fraternità, dopo lo storico incontro a porte chiuse in mattinata a Najaf con il Grand Ayatollah Al-Sistani, la massima autorità religiosa dell’Islam sciita.
“Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione”,
ha ribadito Francesco durante l’incontro interreligioso, facendo eco a quanto affermato ieri nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad: “Noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti”. “Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio!”, l’invito ai presenti: “Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose”. Ancora una volta, come aveva fatto nel suo primo discorso dal Palazzo presidenziale di Baghdad, il Papa ha menzionato in particolare la comunità yazida, “che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate”. “Oggi preghiamo per quanti hanno subito tali sofferenze, per quanti sono ancora dispersi e sequestrati, perché tornino presto alle loro case”, l’esortazione corale: “E preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa”.
Da Ur dei Caldei, culla delle tre religioni monoteistiche, il primo Pontefice a recarsi in un Paese a maggioranza sciita ha chiamato a raccolta i leader delle religioni per compiere un altro passo nel cammino della fraternità iniziato due anni fa con il Documento di Abu Dhabi.
Non sono mancati, come nel primo giorno del viaggio, i riferimenti alla dolorosa storia di un popolo martire, che ha visto distruggere dal terrorismo gran parte del suo patrimonio religioso, tra cui chiese, monasteri e luoghi di culto, che devono diventare “oasi di pace e d’incontro per tutti”.
”Abbiamo bisogno di uscire da noi stessi, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri”,
l’appello sulla scorta della Fratelli tutti: “La pandemia ci ha fatto comprendere che nessuno si salva da solo”.
“Nelle tempeste che stiamo attraversando non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati”, la tesi del Papa: “Non ci salverà l’idolatria del denaro, che rinchiude in sé stessi e provoca voragini di disuguaglianza in cui l’umanità sprofonda. Non ci salverà il consumismo, che anestetizza la mente e paralizza il cuore. La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace. Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte”.
“È indegno che, mentre siamo tutti provati dalla crisi pandemica, e specialmente qui dove i conflitti hanno causato tanta miseria, qualcuno pensi avidamente ai propri affari”, la denuncia, unita alla descrizione del suo sogno per un futuro di pace: “Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni”.
Chi crede in Dio, al contrario, “non ha nemici da combattere, non può essere contro qualcuno, ma per tutti”.
Per questo risulta decisivo il ruolo che possono svolgere i leader religiosi, ai quali Francesco ha lanciato un appello impegnativo: “Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa”. Nell’omelia della prima messa celebrata in Iraq, nella cattedrale caldea di San Giuseppe, il Padre ha riletto le Beatitudini: “Beati, per il mondo, sono i ricchi, i potenti, i famosi! Vale chi ha, chi può, chi conta! L’amore è la nostra forza, la forza di tanti fratelli e sorelle che anche qui hanno subito pregiudizi e offese, maltrattamenti e persecuzioni per il nome di Gesù”.