Commento al Vangelo
Domenica 20 ottobre, commento di don Renato De Zan
Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire
23.10.2024 – 29 ° T.O. – C
Mc 10,35-45
In quel tempo
Il Testo
1. L’incipit liturgico (“In quel tempo”) e l’esplicitazione del pronome “gli” (cancellato) con “a Gesù” sono gli unici due ritocchi che la Liturgia ha fatto sulla pericope biblica originale. Il testo della formula evangelica è scandito da due momenti, segnati dalla citazione dei discepoli. In Mc 10,35 troviamo i nomi di Giacomo e Giovanni. In Mc 10, 41 leggiamo l’espressione “gli altri dieci”. In questi due brani, Mc 10,35-40 e Mc 10,41-45, noi ci troviamo di fronte alla pretesa di Giacomo e Giovanni e all’insegnamento di Gesù sull’autorità in seno alla comunità dei discepoli.
2. Il primo brano (Mc 10,35-40) è costruito sul parallelismo (a. affermazione: “Vogliamo..”; b. domanda: “Che cosa…?”; a’. Affermazione: “Sedere a destra e a sinistra…:”; b’. Domanda: “Potete bere il calice…?”; a’” Affermazione: “Possiamo…”) e la relativa conclusione: “Non sta a me concederlo…”. Questo tipo di costruzione permette all’evangelista di evidenziare quanto sciocca sia la pretesa di Giacomo e di Giovanni. Il secondo brano (Mc 10,41-45) è costruito sulla struttura concentrica. Agli estremi ci sono gli opposti (a. I capi delle nazioni dominano e opprimono / a’. Il Figlio dell’uomo serve) al centro, Gesù annuncia il principio che deve vigere nella comunità cristiana: (b) Tra voi, però, non è così; il primo serve.
L’Esegesi
1. In Mc 10,32-34 Gesù aveva fatto il terzo annuncio della Passione-Resurrezione. Come dopo il secondo annuncio (Mc 9,30-32) i discepoli si preoccupano di chi avrà il potere e l’onore del Maestro (Mc 9,33-37: Chi è il più grande?; Mc 10,35-40: Sedere alla destra e alla sinistra). Con malcelata discrezione l’evangelista fa comprendere al lettore quanto i discepoli fossero legati al potere e quanto poco capissero il mistero salvifico di Gesù. Giacomo e Giovanni vogliono il potere quando Gesù tornerà alla fine del mondo (“Concedici di sedere, nella tua gloria…”).
2. Gesù lascia che i suoi due discepoli, Giacomo e Giovanni, si espongano fino in fondo. Poi, la risposta del Maestro ha molto dell’ironico (e dello sconcertante). Essi condivideranno la sorte del Maestro (essere battezzato = essere totalmente immerso), “ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato (da Dio Padre)”. Quando Gesù morirà, avrà accanto a sé due briganti e non i discepoli, perché scappati.
3. Il potere dei governanti e dei capi viene espresso da due verbi: dominare (in greco, katakurièuo) e opprimere (katexousiàzo). Il primo verbo si ritrova in 1 Pt 5,3, dove appare con il chiaro significato di “essere padroni”: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni (katakurièuontes) delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge”. Il secondo verbo indica, invece, l’uso della forza. Quanto oggi sia così, ognuno può valutare da solo. Una cosa tuttavia è certa. Gesù non prende la società civile come esempio per la vita della comunità: “Tra voi però non è così”.
4. Gesù preferisce educare i suoi, partendo dalla situazione in cui si trovano. Il sentimento non va schiacciato, ma orientato. Il modello dell’autorità, dunque, nella comunità cristiana non è quello della società civile (democrazia o oligarchia o monarchia), ma la persona di Gesù: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Il vocabolo “molti” non deve trarre in inganno. Nel linguaggio semitico non si oppone a “tutti”, ma indica sempre la “totalità rimanente” Gesù dona la propria vita per i discepoli e per “tutti gli altri” (=molti). La Liturgia chiarisce il valore di “molti”. Nell’amplificazione dell’invocazione, la comunità prega: “Hai inviato il tuo Figlio nel mondo per dare la sua vita in riscatto per tutti”.
Il Contesto Liturgico
1. La prima lettura (Is 53,10-11) è una piccola parte del quarto carme del Servo di Yhwh dove è sintetizzata la profezia di morte del Messia (“offrirà se stesso in sacrificio di riparazione”) e la risurrezione (“dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”). La prima lettura in qualche modo supplisce al silenzio evangelico sulla terza profezia della Passione-Resurrezione (cf Mc 10,32-34), che precede immediatamente il vangelo odierno.