Domenica 3 settembre, commento al Vangelo di don Renato De Zan

"Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"

Mt 16,21-27

In quel tempo 21 Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22 Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». 24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27 Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

 

Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini

 

Il Testo

 

1. La Liturgia ha soppresso l’introduzione della pericope evangelica (“Da allora”), separando la profezia della passione-risurrezione dalla confessione di fede di Cesarea di Filippo. Ha soppresso anche il versetto finale della pericope originale (v. 28). Viene aggiunto il classico incipit (“In quel tempo”). La formula evangelica della Liturgia si può scandire in tre momenti principali. Il primo momento comprende la profezia della passione-resurrezione (Mt 16,21). Il secondo (Mt 16,22-23) presenta il dialogo duro tra Pietro e Gesù. Il terzo momento (Mt 16,24-27) offre un insegnamento sapienziale di Gesù sul tema del discepolato cristiano.

 

2. Il criterio interpretativo centrale di tutto questo ricco brano è la parte finale del v. 23: “Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Questo criterio aiuta a comprendere il valore della profezia morte-resurrezione, il rifiuto della posizione di Pietro da parte di Gesù e, soprattutto, i criteri del discepolato. Cosa significa rinnegare se stessi? Significa rinnegarsi secondo gli uomini, ma non secondo Dio.

 

L’Esegesi

 

1. E’ invalso l’uso di chiamare “profezie della passione” ciò che invece racchiude sia l’annuncio della sofferenza e della morte sia l’annuncio della risurrezione di Gesù (“..venire ucciso e risuscitare il terzo giorno”: v. 21). Croce e resurrezione sono i parametri con cui il cristiano è chiamato a valutare la propria esistenza: sofferenza e gioia sono gli estremi che si intersecano e si annodano nel mistero dell’esistenza e della salvezza. Non è possibile assolutizzarne uno solo.

 

2. Ciò che Gesù dice a Pietro (“Va’ dietro a me, Satana!”) può essere visto come un rimprovero (“Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”), ma anche come un invito. Andare, infatti, dietro al Maestro significa essere discepoli, seguirLo (“mi segua”). Questo è il significato del verbo greco “akoluthèo”. Gesù, dunque, invita Pietro a riprendere il cammino del discepolo, a imitare il Maestro e a non ragionare secondo gli uomini.

 

3. “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”: bella frase, perfino a effetto. Ma cosa vuol dire? Riprendiamo il v. 23 e la frase diventa chiara: “Chi vuole salvare la propria vita (secondo il pensiero degli uomini), la perderà (secondo il pensiero di Dio); ma chi perderà la propria vita per causa mia (secondo il pensiero degli uomini),, la troverà (secondo il pensiero di Dio)”. È tutto molto più chiaro.

 

4. Il Figlio dell’uomo “renderà a ciascuno secondo le sue azioni”. Ma non ci si salvava solo per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge (Rm 3,27: “L’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge”) ? L’ha detto Paolo, no? Purtroppo le cose non stanno così. Paolo, parlando della fede, ha detto che la fede cristiana è quella “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). Le opere della carità sono frutto della fede e la manifestano (cf Gc 2,18: “Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”): La fede e la carità sono indisgiungibili.

 

Il Contesto Liturgico

 

1. Nella prima lettura (Ger 20,7-9), Geremia richiama alla memoria la propria vocazione e le fatiche vissute per rimanerle fedele: “Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno” (v. 8). Si tratta di un’anticipazione profetica della figura del discepolo tracciata da Gesù nel vangelo (“Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”).

 

2. Nel fine della petizione della Colletta propria (“perché non ci conformiamo alla mentalità di questo mondo”), i credenti prendono a prestito le parole di Paolo in Rm 12,2: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare”. È un modo per tradurre in preghiera il pensiero di Gesù: pensare secondo Dio e non secondo gli uomini.

 

3. Per un approfondimento: Fabris R., Matteo, Commenti biblici, Borla, 1982, 362-366; Gnilka J., Il vangelo di Matteo. Parte seconda, Commentario teologico del N. T., Paideia, Brescia 1991, 125-136Il vangelo di Matteo, Collana Biblica, Ed. Dehoniane, Roma 1995, 414-420Matteo 2, Commentario Paideia . Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2010, 604-617.