Commento al Vangelo
Domenica 23 ottobre, commento di don Renato De Zan
La diversa preghiera del fariseo e del pubblicano
Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù
Il pubblicano, a differenza del fariseo, tornò a casa sua giustificato
Il Testo
1. La pericope evangelica e la formula del Lezionario coincidono. La Liturgia ha aggiunto l’incipit “In quel tempo, Gesù…”, senza modificare altro. Il testo è cadenzato in tre momenti. Nel primo (Lc 18,9) l’evangelista dice chiaramente chi siano i destinatari dell’intervento del Maestro: “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Nel secondo momento (Lc 18,10-13) Gesù presenta un racconto esemplare, dove i protagonisti sono un fariseo, che presume di essere giusto, e un pubblicano, che si professa peccatore. Il terzo momento (Lc 18,14) l’evangelista presenta la conclusione e la riflessione sapienziale che ne consegue.
2. I nomi “fariseo” e “pubblicano” ci sono familiari. Forse, però, dobbiamo ricordare che il fariseo era un fondamentalista. Ogni legge della Bibbia, analizzata e ulteriormente arricchita di obblighi dalla tradizione rabbinica, doveva essere osservata scrupolosamente. Il digiuno, due volte per settimana, non era prescritto dalla Bibbia come non era prescritto di pagare la decima su tutto ciò che si possedeva, ma su tutto ciò che si guadagnava. I precetti rabbinici andavano sempre oltre la Bibbia. Il fariseo pensava di guadagnarsi la salvezza con l’osservanza scrupolosa della legge. Il pubblicano, collaborazionista e, in genere, ladro, sapeva di non meritare niente perché era riconosciuto peccatore ed egli pure si sentiva tale. Non aveva “meriti” da presentare davanti a Dio. Egli poteva solo chiedere misericordia.
3. Assumere la mentalità del pubblicano non significa concedersi la possibilità di peccare senza migliorarsi, significa invece prendere consapevolezza che comunque si è sempre “mancanti” davanti a Dio. Molto saggiamente uno degli autori del libro di Giobbe dice: “Come può essere giusto un uomo davanti a Dio e come può essere puro un nato da donna?” (Gb 25,4).
L’Esegesi
1. L’evangelista narra la parabola esemplare di Gesù in modo stilisticamente impeccabile. I personaggi sono presentati in parallelismo antitetico. Il fariseo stava in piedi e faceva una lunga preghiera in cui esaltava se stesso. Nell’elenco delle buone opere, però, non c’è l’opera di carità e di pietà. Gesù aveva detto in Lc 11,42: “Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio”. Il paragone del fariseo (sono migliore degli altri: ladri, ingiusti, adulteri, pubblicani) è l’illustrazione del verbo “disprezzare” di Lc 18,9. Il verbo greco “exouthenò” è molto forte e significa “considerare come niente”. Già la sapienza veterotestamentaria aveva condannato il disprezzo: “Chi disprezza il suo prossimo è privo di senno, l’uomo prudente invece tace.” (Pr 11,12); “Chi disprezza il prossimo pecca, beato chi ha pietà degli umili.” (Pr 14,21). Il pubblicano, invece, si è fermato a distanza, si batte il petto, non alza gli occhi e la sua preghiera è brevissima, senza comparazioni. Luca scrive questo brano per la sua comunità dove senz’altro c’erano cristiani che peccavano di orgoglio spirituale.
2. La parabola esemplare ha un suo contesto ideale nell’atteggiamento di Gesù verso i peccatori. Bastano due esempi dove ricorrono i nomi “pubblicano” e “fariseo”. In Mt 9,10-13 Gesù viene rimproverato dai farisei perché mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori. Gesù risponde in modo molto duro: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori”(Mt 9,13). Qualcosa di simile accadde anche nell’episodio di Lc 15,1-2. La parabola del figlio prodigo ha messo a tacere la critica. Infine, non va dimenticato quanto Gesù dice ai farisei in Lc 16,15: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.
Il Contesto Liturgico
1. La prima lettura, Sir 35,15b-17.20-22a, costituisce fondamentalmente la parte finale del trattato sulle offerte (Sir 34,21-35,20). L’attenzione è centrata sul “povero”, anche lui disprezzato come il peccatore. Il povero nel mondo biblico, soprattutto in epoca ellenistica, era visto come una persona maledetta da Dio (se Dio l’avesse benedetta, sarebbe ricca). Di norma il povero era oppresso, angariato, imbrogliato. In poche parole era maltrattato dalla società di allora. Dio, diversamente, ascolta la preghiera del povero e la esaudisce.
2. La Colletta propria, traduce molto bene il messaggio evangelico. La comunità, pienamente consapevole di essere composta da uomini peccatori, nella duplice petizione dell’eucologia chiede a Dio: “guarda a noi come al pubblicano pentito, e fa’ che ci apriamo con fiducia alla tua misericordia, che da peccatori ci rende giusti”.