Commento al Vangelo
Domenica 21 novembre, commento di don Renato De Zan
Nostro Signore Gesù Cristo Re dll'Universo. Giornata per il Seminario Diocesano
21.11.2021 – N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo- B
Gv 18,33-37
In quel tempo,
Tematica liturgica
1. La solennità di “Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’universo” chiude l’anno liturgico. Con domenica prossima, la Chiesa inizia un nuovo percorso per celebrare, contemplare, capire e approfondire il mistero di Cristo, facendosi accompagnare dal vangelo di Luca.
2. La solennità non è “devozionistica”. Gesù stesso afferma davanti a Pilato: “Io sono re” (cf vangelo odierno, Gv 18,33-37) e intende sottrarre la propria regalità e il proprio regno a qualunque interpretazione socio-politica che gli uomini possano attribuirgli.
3. Il regno di Gesù “non è di quaggiù”. Gesù, infatti, è venuto in questo mondo (“quaggiù”) per testimoniare il mondo di Dio attraverso le proprie parole, le proprie azioni e la propria persona. Egli è testimone della “verità”(in greco, alétheia). Dietro a questo vocabolo greco ci sono due parole ebraiche: la ’émet (la fedeltà divina inscalfibile verso l’uomo) e la chésed (la bontà gratuita, amorosa e misericordiosa) di Dio, fondamenti del Regno di Dio.
4. Il testo della prima lettura, Dn 7,13-14, è un annuncio profetico delle caratteristiche del regno messianico. Gesù è re di un regno vittorioso e universale. Le caratteristiche della regalità di Gesù mostrano come tale regalità sia aperta e accogliente, tanto da abbracciare anche coloro che lo trafissero (cf la seconda lettura, Ap 1,5-8).
5. La regalità di Gesù è un dono divino all’umanità. Si tratta di un dono di perdono (a causa del suo sangue versato per l’uomo), di vita (a causa della sua risurrezione) e di adorazione al Padre (a causa del dono del sacerdozio fatto al suo popolo: cf la Colletta propria). A un mondo moderno, segnato dall’ateismo, dalla secolarizzazione e dall’indifferenza, la solennità cristiana di Cristo Re ripropone l’eterno quesito sul senso dell’esistenza e sul modo di gestirla.
Dimensione letteraria
1. Il testo originale incomincia la pericope con queste parole: “Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse..”. Con questa dicitura l’evangelista vuole che il lettore sappia quanto Pilato sia condizionato dal dialogo con i Giudei che gli hanno consegnato Gesù (Gv 18,28-32). Gesù viene presentato all’autorità romana come un sovversivo, nemico di Roma.
2. La Liturgia, invece, toglie questa finezza, cancellando parte del testo (“allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli” disse) e sostituendo il tutto con un incipit molto semplificato: “In quel tempo, Pilato disse a Gesù”. Inoltre, il testo biblico ha la sua chiusura letteraria in Gv 18,38a (“Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?»”), ma la Liturgia fa finire la pericope in Gv 18,27 («Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»).
3. Il testo biblico-liturgico del vangelo, dunque, intende evidenziare come Gesù sia re (“Tu lo dici: io sono re”) e profeta (“Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”).
Riflessione biblico-liturgica
1. Pilato pone la domanda: “Tu sei il re dei Giudei ?”. La risposta di Gesù è una contro-domanda che evidenzia chi siano coloro che sono interessati alla sua morte. Senz’altro, non Pilato, che è convinto dell’innocenza di Gesù (cf Gv 19,4.6).
2. Gesù spiega in cinque stichi perché il suo regno non sia di questo mondo. Un’inclusione chiude l’esposizione (“Il mio regno non è di questo mondo” / “ma il mio regno non è di quaggiù”). Il regno di Gesù non è frutto di un combattimento (“I miei servitori avrebbero combattuto”), ma è frutto di convinzione che porta all’accoglienza della verità da parte di chi ha vera esperienza di Dio, fedele e amorevolmente misericordioso.
3. Gesù è il “testimone-rivelatore” di Dio e delle cose di lassù. Ne consegue che solo un rapporto di fede-fiducia in Gesù fa sì che la sua testimonianza possa essere accolta. “Essere dalla verità” equivale a scegliere di legarsi totalmente a Lui. Senza tale scelta non è possibile accogliere la sua testimonianza.
4. S. Agostino scrive: “Egli non dice: – Il mio regno non è qui – , ma: – non è di qui-”. Il Regno di Dio è presente nella storia, ma avrà il suo compimento nell’escatologia dove la signoria di Dio sarà tutta in tutti (cf 1 Cor 15,25-28: : “È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte…. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”).