Domenica 11 aprile, commento di don Renato De Zan

Tommaso l'incredulo, colui che vuole toccare ma anche colui che per primo confessa Gesù come Signore e Dio

 

Gv 20,19-31

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22 Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23 A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». 26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28 Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». 30 Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31 Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

 

Tematica liturgico-biblica

Il tempo che dal giorno di Pasqua arriva a Pentecoste era chiamato dai Padri della Chiesa “continuata festivitas” (la festa ininterrotta) o “laetissimum spatium” (il tempo gioiosissimo). I cinquanta giorni erano considerati un unico grande giorno di festa, la “Grande domenica”. La seconda domenica di questa “continuata festivitas” era chiamata la domenica di Tommaso (cfr il Vangelo). All’epoca di S. Gregorio Magno (540-604) la stessa domenica prese il nome di “dominica in albis” (domenica delle vesti bianche). Chi era stato battezzato nella veglia pasquale, portava la veste bianca per tutta la settimana di Pasqua e, nella seconda domenica di Pasqua, la deponeva. Nel secolo successivo nei libri liturgici viene chiamata “Dominica post albas” (Domenica dopo le vesti bianche) perché i battezzati deponevano le vesti bianche il sabato (che prese il nome di “sabbato in albis”). Il Messale di Pio V (1570) chiamava questo sabato “sabbato in albis” e la domenica di Tommaso, “Dominica in octava Paschae”. Nel 1962 nel messale voluto da Giovanni XXIII la stessa domenica si chiamava “Dominica in albis in octava Paschae”. Il messale conciliare di Paolo VI la domenica di Tommaso si chiamò “Dominica secunda Paschae” (domenica seconda di Pasqua, perché riprende il concetto dei Padri: il tempo da Pasqua a Pentecoste è un’unica grande domenica). S. Giovanni Paolo II ha voluto che la seconda domenica di Pasqua fosse arricchita di un nuovo nome che non appartiene alla grande tradizione liturgica della Chiesa: “Dominica II Paschae seu de divina Misericordia”. Ciò fu fortemente influenzato dalle esperienze mistiche di S. Faustina Kowalska.

 

Dimensione letteraria

Il testo biblico e il testo liturgico del vangelo, Gv 20,19-31, sono identici. La Liturgia non ha operato nessun ritocco. Il testo diviso in tre parti. La prima (Gv 20,19-25) e la seconda (Gv 20,26-29) sono introdotte da un elemento temporale (v. 19: “La sera di quel giorno, il primo della settimana” / v. 26: “Otto giorni dopo”). La terza parte (Gv 20,30-31) è costituita dalla prima conclusione del vangelo di Giovanni.

 

Riflessione biblico-liturgica

a. Nell’episodio di Gv 20,19-25 ci sono tre cose da evidenziare. La prima è il saluto. La “pace” donata da Gesù è diversissima da quella che dà il mondo (cfr Gv 14,18.19.27;16,16-23). Il Risorto stesso è “la pace”, la vera realizzazione dell’uomo: “Egli infatti è la nostra pace” (Ef 2,14). La seconda cosa riguarda

la missione: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. C’è un filo rosso che dal Padre, attraverso Gesù, giunge fino ai Dodici (e a tutti i discepoli di Gesù). Infine, la terza cosa consiste nella Pentecoste della domenica di Pasqua: Gesù dona lo Spirito per la remissione dei peccati. Il gesto compiuto da Gesù è espresso dal verbo greco “enephysen” (soffiò): è lo stesso gesto compiuto da Dio nei confronti dell’uomo nel momento della creazione (Gen 2,17). È il verbo che indica l’animazione della polvere del suolo, modella come uomo. Ciò che la Chiesa perdona, è perdonato “ da Dio” (il passivo teologico manifesta l’azione di Dio).

b. Nell’episodio di Gv 20,26-29, Gesù appare nuovamente ai suoi (non a Tommaso da solo!). Tra loro c’è Tommaso. Egli poteva scegliere di credere attraverso la testimonianza dei suoi colleghi (e sarebbe stato proclamato “beato” dal Maestro). Ora può credere come i suoi colleghi, vedendo il Risorto. Tommaso non tocca il Maestro (nessun dito sul foro dei chiodi, nessuna mano nell’apertura del costato). Lo vede ed esprime la confessione di fede più alta di tutto il Nuovo Testamento. Per lui, come per ogni cristiano di ogni epoca e luogo, Gesù è “Signore” e “Dio”.

c. Il terzo testo (Gv 20,30-31) costituisce la prima conclusione del vangelo di Giovanni. Il vangelo non è una “biografia” di Gesù. Ciò che è scritto è stato detto e fatto da Gesù, ma serve a far nascere la fede nel lettore e non a soddisfare le curiosità.