Commento al Vangelo
Domenica 27 settembre: commento di don Renato De Zan
Ci sono due modi di obbedire a Dio, uno buono e l’altro cattivo. Quello cattivo s’identifica nell’adempimento assoluto e formale, senza comprensione del precetto stesso. Quello buono lascia spazio alla riflessione e comprensione, poi esegue
Mt 21,28-32In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Risposero: “Il primo”. E Gesù disse loro: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”.
Tematica liturgicaCi sono due modi di obbedire a Dio, uno buono e l’altro cattivo. Quello cattivo s’identifica nell’adempimento assoluto e formale dei precetti. Adempimento assoluto, senza comprensione del precetto stesso, dimenticando che il fine della legge non è la legge (“finis legis non est lex”). Formale, cioè senza “incarnazione” nella situazione storica. L’insegnamento di Gesù va in tutt’altra direzione. Gesù richiede la conoscenza non solo materiale del precetto (cf Lc 11,52: “Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”). Gesù, inoltre, ha sempre insegnato che il precetto deve essere accompagnato da qualche cosa d’altro: la riflessione sul bene maggiore nella situazione. Luca, a proposito, narra un simpatico episodio (Lc 14,1-6): “Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: “È lecito o no guarire di sabato?”. Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse loro: “Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?”. E non potevano rispondere nulla a queste parole”. Gesù, dunque, insegna a “incarnare” i precetti. Il discepolo di Gesù è chiamato non solo a conoscere, ma a comprendere e incarnare ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Per fare questo, il suo atteggiamento interiore necessita di un dinamismo: la conversione continua e la ricerca della volontà di Dio negli avvenimenti storici. Gesù sa come è fatto il cuore dell’uomo. Per questo motivo egli propone la parabola dei due figli (Mt 21,28-32). I responsabili della fede ebraica, al tempo di Gesù, pensavano che l’adempimento formale della legge e della sue minuzie fosse il modo migliore per aderire alla volontà di Dio, dimenticando che la storia è parte integrante della legge stessa. Quando, poi, alla legge, i rabbini associavano alla Parola di Dio varie prescrizioni. Spesso accadeva che la Parola di Dio venisse sepolta dalle prescrizioni. Così il pio ebreo aderiva alle prescrizioni, dimenticando la Parola. Fin dall’inizio della sua predicazione, il Maestro aveva messo in guardia i suoi uditori dal formalismo e dalla mancanza di incarnazione: “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore “, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. (Mt 7,21-23).
Dimensione letterariaL’incipit liturgico al brano evangelico di Mt 21,28-32 chiarisce chi sia il mittente e chi sia il destinatario di quanto viene detto: “In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo….”. La Liturgia, dunque, ritiene opportuno che l’assemblea sappia con chiarezza che il discorso che fa Gesù è rivolto a una determinata tipologia di persone, che nel vangelo si presentano come persone obbedienti alla legge (solo in maniera formale e non “incarnata”), ma meno attenti all’obbedienza a Dio che agisce nella storia. Il testo è suddivisibile in due unità letterarie. Prima c’è una parabola (Mt 21,28-31b) e, subito dopo c’è una riflessione sapienziale (Mt 21,31c-32). La parabola è stata riportata nella sua forma letteraria più classica: la domanda iniziale, il racconto vero o verisimile, la domanda specifica finale, la risposta degli ascoltatori (con la quale gli ascoltatori stessi esprimono la condanna del proprio modo di pensare). La condanna è oggetto della riflessione sapienziale di Gesù che approva la conversione delle persone moralmente compromesse e disapprova la non conversione delle persone che si ritenevano al di sopra della predicazione del Battista.
Riflessione biblico-liturgicaa. La volontà del padre è fatta da chi fa e non da chi dice e non fa. Gesù, in modo delicato, sta facendo ricordare ai suoi ascoltatori le parole di Isaia: “Questo popolo si avvicina a me solo a parole e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il culto che mi rendono è un imparaticcio di usi umani” (Is 29,13).b. Il primo figlio, dopo aver detto di no al padre, si è “pentito” (“metamelethèis”). Il verbo “metamélomai” significa “cambiare l’animo e il cuore”. Nell’incontro mente-cuore nasce la nuova mentalità capace di obbedire alla volontà di Dio come vera realizzazione per l’uomo. Da qui nasce l’abbandono del formalismo per abbracciare ciò che è sostanzialità della testimonianza di fede nella vita.