Domenica 3 novembre, commento al Vangelo di don Renato De Zan

Solo l'incontro con Gesù dona la conversione e la gioia: lo testimonia il vangelo di odmenica 3 novembre che rilegge l'episodio di Zaccheo salito sul fico per vedere Gesù

Lc 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”. Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

 

Tematica liturgica

Un sapiente ebreo, vissuto con ogni probabilità in Egitto verso la fine del sec. I a.C., ha riflettuto molto sul rapporto tra Dio e l’uomo. Giunse così a una comprensione profonda di questo rapporto e si sentì di esprimerlo in un modo nuovo rispetto alla teologia precedente: “Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento” (cf. la prima lettura, Sap 11,22-12,2). Dio non attiva la potenza della collera e nemmeno la forza della punizione nei confronti dell’uomo che sbaglia. Attiva, invece, la compassione e l’attesa. Ciò spiega perché Dio corregge “poco a poco quelli che sbagliano” e li ammonisce “ricordando loro in che cosa hanno peccato”. Dio, dunque, corregge. Non punisce. Il suo obiettivo, infatti, è chiaro: “Perché, rinnegata la malvagità, credano in te Signore”. Anche in questo caso il sapiente oltrepassa la teologia pregressa. Lo scopo della conversione non è diventare più buoni, ma è la fede matura (“perché credano in te, Signore”). Credere in Dio significa avere una visione del mondo, degli avvenimenti, dei valori, delle persone e delle cose che una persona senza fede non può avere. Significa aver un modo di ragionare, di decidere che non fa parte di coloro che non hanno fede o la trascurano. Dio è “amante della vita” e, di conseguenza, non c’è singola realtà esistente che possa essere esclusa dall’amore divino. Il peccatore e il demonio non amano Dio, ma sono amati da Dio. Tutto ciò che esiste porta con sé l’amore di Dio. Questa riflessione del sapiente, ispirata dallo Spirito Santo, potrebbe non piacere a certi moralisti che si dicono cattolici, ma la conferma evangelica è piuttosto abbondante: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi” (Lc 5,31-32). L’essenza del pensiero sapienziale ebraico fornisce una luce necessaria a comprendere il comportamento aperto e misericordioso di Gesù nei confronti di chi sbaglia e intende ritornare a Dio. Un discepolo di Paolo, in 1 Tm 1,15 afferma in modo chiaro: “Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io”. Il progetto di Dio, incarnato in pienezza da Gesù, può essere verificato nell’episodio di Zaccheo (vangelo odierno, Lc 19,1-10). Zaccheo è peccatore per scelta sua, ma è amato da Dio per scelta di Dio. Nel momento in cui si converte (si tratta di una conversione operante: “io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”) compie un grande atto di fede: chiama Gesù con il nome “Signore”. Il significato di questo nome è ampio. Può indicare il “padrone di casa”, il “maestro di vita”, il “rappresentante di Dio” e anche – a livello cristiano – il “Messia”, il “Risorto” e “Dio” stesso. Zaccheo può aver visto in Gesù il “maestro di vita” e il “rappresentante di Dio” (cf. Col 2,9: la presenza corporale della pienezza della divinità in Gesù).

 

Dimensione letteraria

Dopo il solito incipit (“In quel tempo”), testo biblico del vangelo e testo biblico-liturgico coincidono. I primi versetti (Lc 19,1-4) presentano la scena di Zaccheo nel lungo cammino di Gesù, dalla Galilea a Gerusalemme. Zaccheo viene definito “capo dei pubblicani e ricco” e “piccolo di statura”. Sale sul sicomoro per vedere chi sono gli stranieri ai quali dovrà chiedere il pedaggio prima dell’uscita dalla città.

Segue, poi, la scenda dello sguardo (Lc 19,5-7). Gesù guarda Zaccheo, esprime il desiderio di andare a casa sua. Zaccheo, pieno di gioia scende e lo accoglie a casa sua. Anche la folla guarda. Vede uno “scandalo”: un rabbino in casa di un peccatore! Gli ultimi versetti (Lc 19,8-10) riportano il dialogo tra Zaccheo e Gesù. Emerge la profonda conversione di Zaccheo e contrapposta alla miope visione della gente, c’è la riflessione di Gesù sulla propria missione: “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

 

Riflessione biblico-liturgica

a. Lo sguardo di Gesù manifestava la forza del Signore che ama (cf Mc 10,21: “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò….”). Zaccheo percepisce questo mistero: lui, peccatore, amato da Dio. Ciò può essere vissuto solo nella gioia.

b. La Legge prescriveva la restituzione del maltolto, aumentato di un quinto (cf Lv 5,20-26). Zaccheo restituisce il quadruplo del maltolto e dona metà del rimanente ai poveri. Zaccheo è un “convertito” e la Legge non ha più potere su di lui.